Su dj Fabo la procura vuole l'assoluzione per Cappato

Per la procura il radicale "rispettò la volontà di morire" di Fabiano Antoniani

Su dj Fabo la procura vuole l'assoluzione per Cappato

La Procura di Milano chiede l'assoluzione di Marco Cappato, l'esponente radicale sotto processo per avere agevolato il suicidio di Fabiano Antonioli, il disc jockey ridotto in condizioni vegetative da un incidente stradale e spirato in una "clinica della dolce morte" in Svizzera. Al termine di un processo sofferto e a volte commovente, i pubblici ministeri Sara Arduini e Tiziana Siciliano hanno insistito sulla linea seguita fin dall'inizio: il comportamento di Cappato non ha violato il codice penale, perché Dj Fabo aveva maturato autonomamente e irrevocabilmente la sua decisione di porre termine a una vita intollerabile. E il ruolo di Cappato non ebbe alcun peso nella decisione e nella sua esecuzione.

Il radicale si era autodenunciato, per sollevare pubblicamente il tema della mancanza in Italia di una legge sul fine-vita al passo con i tempi. La Procura aveva chiesto il suo proscioglimento, ma un giudice aveva invece ordinato il processo: il testo attuale dell'articolo 580 del codice penale, che punisce esplicitamente chiunque agevola un suicidio, non lasciava margini di interpretazioni favorevoli a Cappato.

Invece oggi, al termine del processo, le due pm insistono. La pm Arduini ha rIcostruito la genesi del calvario di Dj Fabo, il suo "viaggio della speranza" in India, la delusione, la disperazione, la decisione lucida di farla finita. I contatti con la clinica Dignitas, ha ricordato, sono precedenti all'ingresso in scena di Cappato. E una volta entrato in contatto con Fabiano, il radicale si limitò a spiegagli le possibilità tecniche, ricordandogli in ogni passaggio che poteva ripensarci. Lo portò in Svizzera con la sua auto, è vero. Ma non entrò nella stanza dove Cappato, stringendo con i denti una provetta, si diede la morte. "Se condannate Cappato - ha concluso la Arduini - dovreste incriminare anche il notaio che ne ha raccolto il testamento, il medico che lo ha visitato. E anche sua madre e la sua fidanzata".

Dopo di lei, Tiziana Siciliano ha spiegato perché la Procura sta dalla parte di Cappato: "Io mi rifiuto di essere l'avvocato dell'accusa, io rappresento lo Stato, e la mia funzione è anche quella di trovare le prove a favore e sollecitare l'assoluzione quando penso che sia giusto". La pm ha descritto crudamente le condizioni di Fabo, "quale dignità c é nell'urlare terrorizzato per la paura di soffocare, dipendere da una mano pietosa, vivere immerso nei propri fluidi corporei senza poter controllare nulla?". Ha ricordato che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha più volte dettato linee guida agli Stati sul tema del diritto al suicidio, e ha chiesto di interpretare l'articolo 580 del codice penale alla luce di queste indicazioni, e alla realtà di "una società che muta, cose che apparivano pietre miliari del sentimento della nazione si sono sciolte come neve al sole", come il delitto d'onore. La mutata realtà, dice la Procura, deve portare ad assolvere Cappato: perché "Cappato è imputato di avere aiutato qualcuno a esercitare un suo diritto. Non il diritto al suicidio, il diritto alla dignità".

Solo se la Corte d'assise ritenesse di non potere accettare questa richiesta, la Procura chiede che il processo sia sospeso e gli atti inviati alla Corte Costituzionale perché valuti la conformità dell'articolo 580 alla Carta fondante della nostra

Repubblica.

E il pm chiude citando S. Tommaso Moro. "Afferma che un malato incurabile, se sofferente, può decidere di morire per evitare inutili sofferenze a sè e fatiche agli altri". Nel pomeriggio la parola passa alla difesa.

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