In tempi di accuse tra magistrati, di arresti di politici dal grillino De Vito ancora inspiegabilmente in galera al forzista Tatarella, di indagini che compromettono carriere governative come quella di Siri o di partito come quella di Lotti, conviene ricordare cosa scrivemmo il 28 ottobre di quattro anni fa, proprio su questo giornale. E come sia difficile mantenere un minimo di garantismo, mentre tutti intorno a te, soprattutto i giornali, suonano la grancassa dell'accusa. «La direzione antimafia di Firenze sta indagando per associazione a delinquere con l'aggravante del favoreggiamento alla mafia, il numero due di Unicredit, Fabrizio Palenzona. Grancassa sui media, migliaia di pagine di intercettazioni e altro finite sui giornali, consigli di amministrazione convocati d'urgenza e perquisizioni a tappeto. Per gli inquirenti Palenzona si sarebbe adoperato per ristrutturare un debito da 60 milioni che un'impresa tosco-siciliana aveva con la banca. Al centro di tutto un immobiliarista, Andrea Bulgarella che, secondo l'accusa, sarebbe in rapporti con il boss Messina Denaro. Il cerchio si chiude: banca, Palenzona, Bulgarella, Messina Denaro». E ancora: «Dibattimenti, eventuali processi e giudici ci diranno se la storia Unicredit-mafia è una gigantesca bufala o c'è sostanza... La nostra posizione (del tutto minoritaria) è che con i sospetti non si costruiscono le condanne».
Parole ovviamente al vento. Il Fatto quotidiano e Repubblica, seguiti dal Corriere della Sera e persino dalle cronache del Sole24ore da Firenze, per quindici giorni menarono come dei fabbri su Palenzona e su Bulgarella e i suoi presunti rapporti con Messina Denaro. Che pare abbia relazioni con tutti. Evocato anche nel caso Siri. Insomma mezzo mondo riciclerebbe per lui o con questo straordinario latitante avrebbe rapporti. Ma questo è un altro discorso. Ritorniamo al nostro. La stampa italiana fu talmente ossessionata dal caso, che i giornali stranieri ci credettero e seguirono. Partì l'autorevole (ma de che?) Financial Times e poi un bel po' di giornali tedeschi, interessati al numero due di una banca italiana che aveva comprato a casa loro e che veniva accostato alla mafia.
Passano gli anni e arrivano le sentenze: anzi sarebbe meglio dire le archiviazioni. Nel 2018 la stessa procura che accusava i Nostri di mafia, archivia la posizione. E rinvia a Milano la competenza riguardo alla potenziale truffa ai danni di Unicredit, compiuta da Palenzona, dal suo assistente Mercuri, e Bulgarella. È di poche settimane fa anche la decisione del tribunale di Milano. La procura, cioè l'accusa, chiede l'archiviazione, e il giudice con decreto la concede, scrivendo: «I fatti ricostruiti difettano degli elementi costitutivi delle ipotesi di reato inizialmente formulate».
Ricapitoliamo. Palenzona e Bulgarella quattro anni fa vengono indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze, per truffa e possibili contatti con il boss Messina Denaro. È una figuraccia globale, mondiale. Intercettazioni e perquisizioni. Gli stessi magistrati, quelli del Riesame dopo solo un paio di settimane, e poi quelli stessi dell'iniziale accusa smontato la bolla. E a Milano, il 20 maggio di quest'anno, si pone finalmente una pietra sopra ad un'inchiesta che faceva acqua da tutte le parti.
Secondo voi chi restituirà sui giornali l'onore di questa archiviazione? Avete letto le prime pagine del Fatto, del Corrierone, di Rep o Sole? Praticamente zero assoluto. Il problema non sono i magistrati, o meglio non solo loro, ma soprattutto noi giornalisti.
Fenomenali a fare i moralisti sulle carte passate dalle procure, incapaci oggi di chiedere scusa ai mostri che abbiamo sbattuto in prima pagina. Forse un filo di prudenza in più dovremmo averla anche per le cronache giudiziarie di questi giorni.
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