L'ultima sfida della Nasa: la caccia all'oro sulla Luna

La Nasa cerca ditte private per lo sfruttamento commerciale dei materiali raccolti sul satellite. Il cosmo è una risorsa. E fa sempre più gola

L'ultima sfida della Nasa: la caccia all'oro sulla Luna

Di chi è la Luna? Di tutti e di nessuno. Se la risposta vi sembra ambigua domani potrebbe essere peggio, molto più brutale: la Luna è di chi se la piglia.

Tutti comincia con i nuovi progetti della Nasa. È da un po' di tempo che sta stringendo accordi con alcune compagnie private per andare a raccogliere rocce e altri minerali. Non si parla ancora di scavare in profondità, ma il progetto a lungo raggio è di aprire miniere lunari. L'altra scommessa è una sorta di ritorno al futuro. È tempo di riportare l'uomo lassù, non soltanto a passeggiare, ma con l'idea di lavorarci. Base lunare Alpha, come in Spazio 1999 e fa nulla se siamo in ritardo di oltre 20 anni rispetto alla fantascienza di un telefilm anni '70. Il progetto è comunque ambizioso. Si parla, con un certo ottimismo, di un nuovo viaggio nel 2024. È, come ha raccontato Jim Bridenstine, amministratore dell'ente spaziale americano, il progetto Artemis. Questa volta non si va nell'area equatoriale come accade con le missioni Apollo. La destinazione è il Polo Sud lunare. È lì, nei crateri perennemente in ombra, che ci dovrebbero essere le riserve di ghiaccio. È lì che si possono creare colonie. La Luna però è solo una tappa. La meta finale è Marte.

Torna in mente il discorso di Kennedy: «Lo spazio è là e noi lo scaleremo». Sembra quasi che l'America, così affaticata sulla Terra, si sia rimessa a sognare. Il progetto però comincia a suscitare parecchi malumori. Il primo arriva d'istinto: ma con tutti i guai che abbiamo qui dobbiamo pensare alla Luna? Questo pensiero vale però per qualsiasi impresa stralunata. Il resto invece ha a che fare con il diritto, la proprietà e il buon senso delle nazioni.

La Nasa questa volta non si muove da sola, ma apre ai privati. Qui bisogna fare riferimento a un trattato internazionale firmato il 27 gennaio 1967. Dice che la Luna, e gli altri corpi celesti, non possono essere proprietà delle nazioni. Questo principio però non è draconiano. Ti dice di chi non può essere la Luna, ma tace su chi può rivendicarne la proprietà. Le nazioni non possono. I privati, invece? Non si sa. È su questo vuoto che Dennis Hope, imprenditore del Nevada battezzato dalla speranza, nel 1980, scrisse una lettera alle Nazioni Unite. Disse ai governi del mondo che la Luna era sua. Ne rivendicò la proprietà. Perché? Semplice, era stato il primo a dirlo. Non era un matto. Il suo discorso toccava una fragilità del trattato. È così che si mise a vendere, a partire da 20 dollari, ettari e ettari di terreno lunare.

Un mattacchione, certo, ma che sollevò un problema. Nel 1979 ci fu un altro accordo, dove si specificava che la Luna è comune eredità del genere umano. La Luna è di tutti. Il trattato fu firmato solo da 18 stati, tra questi nessuno in grado di far partire un'astronave. Gli Stati Uniti, nel 2015, decidono di fare da soli. È lo Space Act, una legge che permette alle società private di sfruttare le risorse spaziali.

Non è che ne rivendicano la proprietà. Lo Spazio è di tutti, ma se uno si fa un viaggetto sulla Luna e con un'astronave camion porta a casa una vagonata di rena e rocce che male c'è? È un po' come tornare ai tempi dei cercatori d'oro del Klondike o di chi va a ramazzare gli oceani. Elon Musk e Jeff Bezos sono già pronti con pala, secchio e setaccio.

Non sono i soli. Il Lussemburgo, tre anni fa, ha approvato una legge simile a quella di Washington.

Noi non ci saremo e non sappiamo come questa storia andrà finire, ma la guerra sulla proprietà della Luna è già iniziata.

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