Quantità industriali di cibo sprecato. I numeri sono da capogiro: si parla di 5 milioni e mezzo di tonnellate l'anno, 12 miliardi buttati al vento. E laddove i numeri non sono abbastanza evocativi, le foto non mentono, come riporta La Stampa.
"Lo vede? È un pezzo di formaggio ed è ancora commestibile", dice Luca Rossi, direttore dell’Ipla (Istituto per le piante e per l’ambiente del Piemonte). Oltre al danno, la beffa verrebbe da dire. Sì perché quel formaggio e quel pane scartato e scaricato a terra, nell'aia di stoccaggio dell'impianto di compost gestita dalla società Territorio e Risorse alle porte di Santhià, è ancora buono. Come a volerlo dimostrare, Rossi si china e tra l'ammasso di rifiuti organici raccoglie un latticino che non ha neanche l'ombra della muffa, perfettamente conservato. Mentre il direttore di Ipla parla, il suo presidente, Igor Boni, in una decina di minuti, e senza scavare dentro l’ammasso, raccoglie prodotti che avrebbero potuto essere conservati in frigo e poi essere cucinati. "Non hanno un brutto aspetto dopo due viaggi dentro i compattatori".
Di fronte a questo scenario che fa stare male, sorge spontanea una domanda: perché? "Vengono scartati - spiega Rossi - per rispettare obblighi di legge o perché vengono giudicati inadatti per la vendita. Ma anche se non hanno un bell’aspetto si possono ancora mangiare". Basta recuperarlo. Per Rossi è un circolo virtuoso dove ci guadagnano tutti, anche la grande distribuzione che potrebbe risparmiare riducendo i rifiuti da smaltire. Qualcosa si sta già facendo. "In Italia - spiega il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina - recuperiamo ogni anno 550 mila tonnellate di cibo che viene distribuito a milioni di persone in difficoltà". Il Parlamento ha approvato una legge in materia e promette di recuperare un milione di tonnellate entro l’anno. Un passo avanti, sicuramente. Ma c’è un problema.
Il Politecnico di Milano ha studiato gli sprechi della filiera. Si parte dai campi dove si butta, a causa della deperibilità, il 34% del prodotto.
Il ministero afferma di recuperare 300 mila tonnellate di ortofrutta l’anno. L’1% è legato alle lavorazioni industriali mentre il 14 agli scarti della grande distribuzione. Il consumo domestico pesa per il 47%. e in questo non serve una legge ma l’educazione alimentare.
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