Cronaca nera

Trovato il corpo di Giulia, caccia a Filippo

Uccisa a coltellate e gettata in un canalone. L'ex fidanzato è ancora in fuga

Trovato il corpo di Giulia, caccia a Filippo

La storia di Giulia e Filippo è l'avvenimento al di fuori dei nostri piccoli affari quotidiani che più ci ha coinvolti. E sconvolti, ora che il corpo della ragazza è stato ritrovato senza vita e la speranza di un lieto fine è tragicamente svanita. Le guerre, anche se ci minacciano e sono lì lì per trascinarci nel loro gorgo, restano alla fine rumori lontani, contro cui possiamo fare poco o nulla. Ma il caso tremendo dei due ragazzi veneti è come ci fosse accaduto dentro casa. Nelle facce dei due bravi studenti universitari, prima che il male abbrancasse la mente di Filippo muovendolo contro la fidanzata che aveva perduto e non si rassegnava non fosse più sua, vediamo i nostri figli e nipoti, e forse noi stessi nei panni di genitori, nonni, zii, angosciati e stupefatti per tutti i giorni in cui si è sviluppata la tragedia.

Di essa qui fornisco gli elementi essenziali, qualche fotogramma, non perché il lettore ne abbia bisogno, ma per rivederli insieme.

Giulia e Filippo frequentavano il medesimo corso universitario di ingegneria biomedica. Si sono fidanzati conoscendosi alle lezioni e nei laboratori. È stato per entrambi, a dire di amici e parenti, il primo amore: innamoratissimi. Possiamo dire una parola maledetta di questi tempi: erano normali, nel senso che a questo termine si dà ancora nella nostra provincia. Erano «fidanzati». Lui la scarrozzava sulla Fiat Punto nera, un po' scassata, non la macchina di un ganzo, ma se c'è un'auto poco da influencer o da rapper è quella lì. Lui è solitario, si aggrappa a lei che lo ricambiava, «avvinta come l'edera», cantava una volta Nilla Pizzi. Finché la gelosia che spesso accompagna le storie d'amore diventa in lui ossessiva, e quel rapporto che era per entrambi totalitaria dolcezza, desiderabile solitudine a due, «e tutto il mondo fuori», si trasforma per lei in galera, in un cunicolo dove si sente ostaggio, quasi sequestrata in un tunnel di Gaza. Giulia lascia due volte Filippo, che non si rassegna. Lei si sente in colpa, prova pena, lui supplica, lei concede scampoli della sua vita, come si fa, sbagliando, con gli alcolizzati che chiedono l'ultimo goccio. Immaginiamo le frasi disperate versatele addosso. Sono quelle eterne dove si passa in una manciata di secondi dalla malinconia di «Torna a Sorrento» alla rabbia di «Malafemmina». Lei confessa alle amiche che ogni tanto l'ex le fa paura. Niente più a che fare con il sorriso radioso di ragazzo felice che si vede nelle fotografie dove posano insieme con il gruppo dei compagni di studi. Poi però lei minimizza, lo perdona, si ricomincia.

Sabato 11, otto giorni fa, lei gli propone di accompagnarla in un centro commerciale, ha tutto pronto per la festa di laurea, di cui sarebbe stata impalmata a Padova il giovedì seguente: rinfresco, vestito, inviti, nastri rossi; mancano però le scarpe, da scegliere insieme, dopo un hamburger da McDonald's. Non è tardi, sono le undici di notte, quando Giulia si fa portare a casa. E Filippo ce la conduce non con una romantica Torpedo blu, ma con la Tipo su cui un tempo scarrozzavano contenti, ma adesso basta, la rottura è definitiva. Lei infine scende. Scende anche lui. Poi il buio. Il buio e il sangue. La violenza. Voleva portarsela via a qualunque costo e lei ha detto no, restiamo amici, ma a lui quel goccio non bastava più, o tutto o niente? Niente. Ha scelto il niente. Azzerarla. Il filmato del piazzale fuori da una fabbrica di profumi, pare mostri lei che apre lo sportello e salta giù, è spaventata, lui la colpisce, la trascina per i capelli in macchina; lei prova ancora a scappare, il no è no, costi quel che costi. Non tanto a un rapporto sessuale. Un no a spartire il futuro, un no al sogno esclusivo di quell'altro, che la rincorre e la affronta, lei giace esanime, che vuol dire senza anima, gliel'ha strappata. La libertà di dire di sì e di no lui gliela vuole fare ingoiare per sempre.

Non sono ancora riuscito a scrivere le definizioni che sento pronunciare su Filippo, quale criminale, mostro, assassino. Facile liquidarlo così, troppo comodo. Si cercano spiegazioni nei meandri della sociologia, nei retaggi della tradizione patriarcale. Certo lui era solo. Colpa della solitudine della società contemporanea. C'è del vero. Ma quanti siamo stati soli, abbiamo avuto e inflitto delusioni, siamo stati preda della gelosia o l'abbiamo subita, abbiamo o ci hanno guardato dentro il telefonino, ma non ne è scaturita la violenza. Certo semplifica l'enigma, a posteriori, fingere di sapere tutto, e dettare linee di comportamento perfette. In realtà conosciamo poco o nulla del mistero del male che prende forma in delitti atroci di persone comuni, normali, e come tali spesso sole.

Soli saremo certo tutti negli ultimi istanti, e perciò diremo «mamma», invocandone la presenza come appena nati. Credo l'abbia chiamata anche Giulia mentre perdeva conoscenza sull'asfalto, e la madre, che le era morta nel maggio del 2022, confido non l'abbia lasciata sola.

Una cosa oso chiedere a sociologi, criminologi, e alle femministe militanti, delle quali comprendo peraltro le ragioni: che questo caso, giunto ieri al suo terribile epilogo, non sia inserito nella statistica dei femminicidi. La storia di Giulia e Filippo è unica, c'è una vittima e c'è un carnefice, e non doveva accadere. Bisogna prevenire, essere vigilanti, tutto giusto.

Breve è stata la loro vita felice.

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