Cronache

La truffa è servita, invasi dal tartufo d’Africa

Con l’aggiunta di additivi il fungo di nessun pregio finisce a costi proibitivi sulle tavole dei ristoranti

La truffa è servita, invasi dal tartufo d’Africa

La truffa del truffe. Dopo il vino, il parmigiano, il pomodoro San Marzano, la mozzarella, un altro vanto del made in Italy agroalimentare conosce la beffa (e il danno) della falsificazione. E che vanto: niente di meno che sua maestà il tartufo. I carabinieri del Nas di Bologna hanno sequestrato oltre 300 chilogrammi di tartufo di scadente qualità importato dal Nord Africa da una ditta di Pistoia che lo rivendeva ad altre tre aziende delle province di Bologna e Pesaro-Urbino che a loro volta lo lavoravano aggiungendo aromi sintetici e lo smerciavano a vari ristoranti del capoluogo emiliano come tartufo di una tipologia più pregiata, il Tartufo Bianchetto (Tuber Borchii Vittad.) il cui prezzo sul mercato varia tra i 18 e i 70 euro all’etto. I carabinieri del Nas di Bologna, in collaborazione con i colleghi di Ancona e Firenze, hanno scoperto la frode in seguito ad alcune ispezioni presso ristoranti e a perquisizioni nelle quattro aziende. I tartufi sequestrati, in seguito alle analisi di laboratorio svolte nella facoltà di Agraria dipartimento di protezione e valorizzazione agroalimentare dell’Università Alma Mater di Bologna, sono stati identificati come appartenenti alla specie molto comune e di nessun pregio - la cui vendita è vietata in Italia - detta Tuber oligospermum. I militari hanno sequestrato oltre 300 chili di prodotto, in parte già confezionato e destinato al mercato brasiliano, posto i sigilli a due depositi clandestini di alimenti del valore complessivo di circa 700mila euro, ed elevando sanzioni amministrative per un totale di 13mila euro. I quattro titolari delle aziende coinvolte nella truffa sono stati denunciati per frode in commercio, vendita di prodotti alimentari non genuini e violazione della normativa quadro sui tartufi.
La contraffazione del tartufo è l’ultima frontiera del falso made in Italy alimentare, settore fraudolento che fattura 60 miliardi di euro all’anno (25 in Europa, 25 nell’America del Nord e 10 nel resto del mondo) e che ha molte sfaccettature, dal «tarocco» tout-court alla zona grigia del cosiddetto italian sounding, che utilizza ambiguamente nomi e definizioni che un consumatore straniero poco avveduto scambia per italiane. Il tartufo fino a qualche tempo fa veniva considerato al riparo da possibili contraffazioni a causa delle stupefacenti particolarità aromatiche e gustative di quello che erroneamente è considerato un tubero ed è invece un fungo ipogeo. E non è un caso che la tipologia contraffatta non è l’inimitabile Tartufo bianco d’Alba, il più pregiato con un prezzo che può raggiungere e superare i 300 euro all’etto, ma il più modesto anche se sempre molto pregiato Bianchetto, che peraltro è una tipologia primaverile.
Secondo la Coldiretti di Pesaro e Urbino il fenomeno è in crescita. Allarmante è in particolare l’aumento delle importazioni di tartufo dall’estero passate, nel primo trimestre 2012 dai 2200 chili del 2011 a 4200. Un dato che fa sospettare un aumento delle operazioni truffaldine di make up che trasformano, come nel caso di Bologna, tipologie di scarso valore in pezzi pregiati.
L’Italia è tra i più importanti produttori di tartufo al mondo. Il Bianco d’Alba è il più apprezzato in assoluto, ma anche altre tipologie dai prezzi più abbordabili sono amate dai gourmet di tutto il mondo. Oltre al Piemonte le regioni più ricche di questo rarissimo fungo ipogeo sono la Toscana (San Miniato), le Marche (Acqualagna), il Molise (San Pietro Avellana), l’Umbria (Norcia), la Campania (Bagnoli Irpino), il Lazio (Leonessa).

Il giro d’affari, stimato in 400 milioni annui, coinvolge decine di migliaia tra cercatori, coltivatori, trasformatori e commercianti.

Commenti