Coronavirus

L'odissea di essere positivo. Il vero virus è la burocrazia

Ecco cosa succede a chi si trova positivo: un'odissea tra medici e centralini. Cambia la quarantena: 10 giorni e un solo tampone. Giallo sulla mascherina

L'odissea di essere positivo. Il vero virus è la burocrazia

Vertici, decreti, tra un po' arriveremo agli editti. Si balla ogni giorno tra divieti, obblighi e raccomandazioni, viviamo in libertà vigilata, ovviamente - dicono - «per il nostro bene». Ci starebbe pure, se tutto funzionasse. Ma non è così. La realtà, infatti, si scosta non di poco dalla teoria enunciata dal governo e dalla comunità scientifica. L'altro giorno mi ha telefonato un amico che non sentivo da tempo. Voce sconsolata: «Sono chiuso in casa, caduto nella burocrazia Covid».

Ed ecco allora la sua odissea, la stessa che potrebbe toccare chiunque di noi. «Qualche giorno fa - mi dice - hanno trovato mio figlio positivo al Covid. Non aveva segnali particolari se non un piccolo raffreddore che, di questi tempi, per uno che fa sport come lui, all'aperto, è praticamente all'ordine del giorno». Nessun segno di pericolo, insomma, tantomeno la famigerata febbre che ti misurano ad ogni passo che fai fuori casa e che dovrebbe essere indicatore inequivocabile che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Poi, è arrivata la telefonata del presidente della società di calcio dove gioca il ragazzo che annunciava la presenza di casi sospetti in squadra e la conseguente sospensione dell'attività, con il consiglio di fare il prima possibile il tampone perché senza gli esiti di tutti e 23 i suoi compagni, non si sarebbe mai ripreso a giocare.

Pazienza, dice lui: una seccatura, perché prenotare di questi tempi un tampone in una struttura pubblica è praticamente impossibile. Così il padre chiama una clinica privata e lo fissa per il giorno successivo. Dopo tre ore, però, al ragazzo arriva un nuovo messaggio. Contrordine, niente tampone: da questo momento lui e i suoi compagni sono in isolamento fiduciario per 14 giorni su decisione dell'autorità sanitaria locale, informata del caso che fa sapere: «Ci rifaremo vivi tra quindici giorni».

Tampone annullato. Non sapendo, però, che cosa significhi in termini pratici, il padre inizia a digitare in internet tutti i possibili «isolamento fiduciario» per capire modalità e rischi, visto che nessuno, in concreto, gli ha spiegato come farlo. E i genitori? Devono stare a casa anche loro in isolamento oppure no? Da internet, pare proprio di no. Scatta la chat con gli altri papà e mamme che confermano come si possa continuare ad uscire di casa, isolando il piccolo in camera sua.

Tutto chiaro? Per niente, infatti passano due ore ed arriva una nuova telefonata che cambia ancora le carte in tavola. «Abbiamo fatto le verifiche del caso - dicono dalla società di calcio -, il ragazzo deve fare subito il tampone e i famigliari devono stare in quarantena. Poi, con l'esito dell'esame, contattate il vostro medico di base e, se è negativo, lui vi libererà dalla quarantena». Già perché non basta che sull'esito dei tamponi ci sia scritto «negativo», occorre, in ogni caso, il via libera del medico di base, altrimenti si continua a rimanere chiusi in casa pur senza avere il Covid.

Il padre diligente richiama la clinica dove aveva cancellato l'appuntamento e rifissa con urgenza il tampone al prezzo di 100 euro.

La famiglia si attrezza al peggio, con una spesa che potrebbe coprire due settimane di chiusura in casa. E il peggio arriva venerdì pomeriggio con l'esito: il ragazzo è positivo. E qui vi lascio al surreale racconto del mio amico: «Oddio, che facciamo? Proviamo a chiamare il medico di base, ma è come tentare di vincere al SuperEnalotto. Lui è reperibile solo sul numero dello studio, non avendo lasciato, a differenza di altri colleghi, quello del cellulare. Inizio a rifare nevroticamente il numero, uno, due, dieci, venti, cinquanta volte, trovando o occupato o il segnale di cornetta staccata, fino a quando, al settantasettesimo tentativo, mi risponde. Dottore, hanno trovato mio figlio positivo. Lui, prende nota, mi avvisa che da quel momento siamo tutti e tre in isolamento per 14 giorni e mi chiede se l'Ats è stata informata. E io che ne so? Chiami la struttura dove ha fatto il tampone e si informi. Poi mi richiami. Di venerdì alle 18? Tramite un amico di un amico riesco a sapere che il laboratorio segnala le positività alle autorità solo per gli interni, non è il mio caso. Riprovo a chiamare il medico di base e, dopo vari tentativi, mi risponde. Dottore, loro non hanno avvisato l'Ats. Allora deve farlo lei. Io, intanto, compilo tutto, ma telefoni al numero 800894545. Dove una voce registrata mi dice che se ho sintomi devo contattare il mio medico di base, cosa che avevo già fatto. Finito in una sorta di ginepraio, inizio a consultare internet e provo un 116117 che però funziona solo dalle 20. Riprovo il numero di prima e, dopo aver superato le varie selezioni (immagino un anziano al posto mio), capito finalmente nella voce «resti in linea, in attesa di un operatore» che prima non ero riuscito a scovare. Mi risponde un simpatico operatore straniero, che parla un discreto italiano, al quale devo ridare, per l'ennesima volta, tutti i dati, miei e dei miei congiunti. Mi dà una serie di avvertimenti da seguire, dicendomi però che lui non è l'Ats e che saremo contattati da qualcuno di loro. Infatti, il sabato mattina, arriva la telefonata dal centro malattie infettive, al quale spiego per l'ennesima volta tutto, informandoli dei contatti presunti che avrebbe potuto avere mio figlio nei giorni precedenti, in particolare con la classe. Comunico che anche io comincio ad avere bruciore di gola, raffreddore e formicolio alla lingua, così come mia moglie, convinto che ci avrebbero fatto fare, in qualche modo, un tampone urgente, a tutela anche delle persone che avevamo, a nostra volta, incontrato fino al pomeriggio prima. Niente da fare. Deve chiamare il suo medico di base perché è lui che attiva la richiesta di tampone. La mia osservazione: è sabato, e fino a lunedì non posso contattarlo, non produce riscontri. Senza il suo via libera, non parte la possibilità di fare subito il tampone. Io ero disposto ad andare a farlo subito a pagamento, ma non posso uscire di casa senza permesso. E intanto ripenso alle persone che potrei avere contagiato e che, a loro volta, hanno continuato, inconsapevoli, ad incontrare altra gente e via dicendo. Di cosa stiamo parlando? Poi, caro Alessandro, devi sapere che se, per caso, uno, tra me e mia moglie, fosse positivo, scatterebbe una nuova quarantena di quindici giorni dalla data di quest'ultimo tampone. Sperando, alla fine del periodo, quando ai positivi faranno due tamponi nello spazio di 24 ore e ai fiduciari uno di verifica, che nessuno sia ancora positivo, perché altrimenti si va avanti di quindici in quindici, sperando nella buona sorte. Uscirò di casa per Natale? Un incubo. Non avrei mai creduto. Intanto, la classe di mio figlio è stata messa in isolamento e, dai primi tamponi, qualcuno inizia a risultare positivo. Ora, io so che tutti stanno facendo del loro meglio e che gestire tutti questi casi non è facile. Ma questa cosa che tutto debba passare dal medico di base, già oberato dalle visite dei tanti pazienti, mi sembra fuori dal mondo. In ogni caso, tu che scrivi sul Giornale, dillo ai tuoi lettori.

Non ritirate gli esiti dei tamponi il venerdì sera».

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