I sindaci di Milano e Roma, Beppe Sala e Virginia Raggi; Greta Thunberg e tutti i «gretini» che pendono dalle sue labbra; il capogruppo grillino alla Camera, Davide Crippa; il monopattinista ed ex ministro Danilo Toninelli. L'elenco sarebbe lunghissimo, soprattutto tra le fila dei 5 Stelle e di tutti coloro che fanno dell'ideologia il proprio stile di vita ma anche il mezzo per raccogliere consensi. Ebbene, tutte queste persone, ieri devono avere brindato dopo aver appreso che in aprile la produzione di auto in Italia si è praticamente azzerata: solo 400 veicoli rispetto ai 49mila di un anno prima. La chiusura delle fabbriche a causa della pandemia ha compiuto il "miracolo". E così, nei primi quattro mesi del 2020, la produzione è crollata quasi della metà. Un mese senza che dagli impianti del Paese uscissero le tante odiate auto a benzina e soprattutto diesel, quelle che attualmente l'industria italiana propone (le prime ibride spuntano solo ora).
Benzina e diesel, però, non vogliono dire per forza che si tratta di veicoli nemici dell'ambiente: inquinanti e climalteranti. I dati sulle emissioni, dopo le recenti strette, sono lì a dimostrarlo. Ma il messaggio non solo è difficile da fare passare, non viene proprio recepito. È la politica che governa con il paraocchi, senza ascoltare ragioni.
Per le auto elettriche, tanto amate da sindaci della sinistra e grillini, perché considerate come la soluzione a tutti i problemi delle aree urbane, almeno per quanto riguarda l'Italia, c'è ancora da attendere. Si partirà con la Nuova Fiat 500, prodotta a Mirafiori, e via via arriveranno le altre vetture elettrificate «made in Italy». Ma ancora per molti anni, fino a quando il sistema infrastrutturale (le colonnine di ricarica) non sarà potenziato e i listini di queste macchine resi veramente accessibili, la «scossa» rimarrà un'utopia.
Fanno invece riflettere i dati sul settore automotive italiano che, nel suo complesso, conta 5.529 imprese, 274mila addetti (diretti e indiretti), pari a più del 7% degli occupati del comparto manifatturiero, 105,9 miliardi di ricavi (l'11% del fatturato della manifattura), il 6,2% del Pil e 76,3 miliardi di prelievo fiscale. E, calcolando tutto quanto ruota attorno all'auto, sono più di 1 milione le persone che vivono grazie a essa. «Gioire», anche se non palesemente, delle sue disgrazie, paragonarla, come è successo a Milano, a razzismo e materiale porno, impedire la circolazione a vetture con motori termici di ultima generazione già proiettati nel futuro, vuole dire far precipitare l'Italia e decine di migliaia di famiglie nel baratro. E ci siamo vicini. Ecco allora, magari turandosi il naso, ma facendo valere la razionalità, l'urgenza di varare un piano strutturale che stimoli la domanda e favorisca l'eliminazione dei milioni di veicoli, con età media di oltre 11 anni, che ancora circolano. Incentivi, però, non limitati ai modelli elettrificati (valgono meno del 2% del mercato) o - come qualcuno propone - solo a quelli più economici.
E non si facciano paragoni con la Germania, dove il piano bonus riguarda solo le auto elettrificate. I tedeschi, in proposito, possono contare su un numero di colonnine oltre quattro volte le nostre. Inoltre, l'industria del settore è al centro dei piani di Berlino e la fiscalità più «amica».Pierluigi Bonora
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