Può capitare di finire nudi per aver pubblicato una notizia. È successo a Roberta Catania, cronista di giudiziaria di Libero, che ieri ha riportato sul suo quotidiano stralci del verbale di interrogatorio di Guido Bertolaso, che è passato in procura a Perugia lo scorso 12 aprile. Spogliata per «colpa» di un decreto di perquisizione «personale e locale» firmato dai pm che si occupano dell’inchiesta sugli appalti per le grandi opere, ed eseguito in maniera a dir poco zelante dai carabinieri. Come sia successo lo racconta lei: «Ero un po’ stranita, non me lo aspettavo. Un carabiniere donna mi ha chiesto di seguirla in bagno, nella mia stanza d’albergo, e mentre i colleghi controllavano il mio computer portatile mi ha domandato di spogliarmi. Cosa che ho fatto in parte. Ma lei mi ha chiesto di togliermi tutto».
Manco a dirlo, non c’erano carte riservate occultate nella biancheria intima della collega di Libero, che si è così potuta rivestire, assistendo al resto della perquisizione per poi essere interrogata dal pm perugino Sergio Sottani. Né Roberta Catania né Antonio Massari, giornalista del Fatto quotidiano, perquisito per lo stesso motivo (ma al quale nessuno ha chiesto di mostrare le proprie grazie) risultano comunque indagati nell’inchiesta per fuga di notizie, che è «contro ignoti». E, per la verità, è la stessa cronista di Libero a rimarcare la «assoluta correttezza» degli investigatori.
«Hanno fatto il loro dovere. E mi sono dovuta spogliare solo davanti a una donna», spiega. «Ero davanti alla procura di Perugia, non lontano dall’hotel, e stavo lavorando. Ho incontrato lì i carabinieri, che mi hanno chiesto conto del verbale di Bertolaso. Ho avvertito il mio avvocato, poi mi hanno accompagnato in camera, hanno perquisito i miei bagagli e frugato tra ritagli di giornali, sempre alla presenza del legale. Non mi hanno sequestrato niente di niente, solo copiato il contenuto del mio hard disk e qualche fax, oltre a controllare sul mio telefono le chiamate in entrata e in uscita e le immagini. E prima di incontrare il pm, siamo passati anche dal parcheggio, dove hanno perquisito pure la mia auto». Sia la giornalista di Libero che il cronista del Fatto quotidiano si sono avvalsi del diritto di tutela della propria fonte.
Si ripete così la storia di questi mesi. I giornali pubblicano stralci di atti coperti dal segreto istruttorio. I magistrati si indignano e inviano le forze dell’ordine a fare la voce grossa. Tutti, in qualche modo, sembrano interpretare una parte in commedia.
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