Retrogusto

Famiglia Rana ricomincia da Sodano

Il ristorante stellato del brand di pasta ripiena, nella bellissima oasi del Feniletto nel Veronese, riapre dopo un accurato restyling che ne ha esaltato il rapporto con la natura circostanza, e si affida al lavoro dello chef campano che porta il suo tocco personale e contemporaneo, davvero interessante

Famiglia Rana ricomincia da Sodano

Dai ravioli all’alta cucina, la storia della famiglia Rana è tra le più sorprendenti della scena gastronomica italiana. Il pastificio di San Giovanni Lupatoto, nel Veronese, portato alla gloria televisiva dal fondatore Giovanni, oggi presidente dell’azienda, e condotto dal figlio Gian Luca, che ne è l’amministratore delegato, ha “figliato” una serie di ristoranti in tutta Italia che recano il celebre marchio. E uno, nella vicina Vallese di Oppeano, che punta molto in alto, grazie all’arrivo dello chef campano Francesco Sodano, la cui cucina ha fatto guadagnare la stella Michelin al locale nel novembre del 2022.

Il Ristorante Famiglia Rana ha da poco riaperto dopo un accurato restyling che ha reso il locale, ricavato da un vecchio magazzino di tabacco e riso, un magnifico salotto diviso in tre ambienti: la sala vera e propria, con sei tavoli e 24 coperti, ricco di colori che richiamano il legame con la peculiare natura che circonda l’edificio - l’oasi incontaminata della Valle del Feniletto, con i suoi orti, i suoi frutteti, i suoi allevamenti e perfino delle emergenze archeologiche risalenti all’Età del Bronzo – e che è arricchita da una installazione sospesa al soffitto nella quale l’artista floreale Ottavia Bosco omaggia le erbe, le radici e le piante del circondario, la sala al primo piano dove i clienti possono rilassarsi dopo la cena o deve si possono organizzare degli eventi privati, e la cantina con un unico tavolo per cene esclusive.

Un locale caldo e avvolgente, dove ogni elemento è pensato per fare star bene il cliente e per valorizzare giovani talenti della creatività, come lo studio di interior design Cantieri Creativi, che hanno sviluppato i percorsi cromatici delle pareti, PÖI, che ha curato le grafiche e le illustrazioni dei menu, e la cooperativa Quid, che ha realizzato tovaglie e tovaglioli con tessuti cuciti da persone provenienti da tutte le categorie a maggior rischio di esclusione lavorativa con la collaborazione dello stilista Antonio Marras.

Ci sono già così talmente tante idee, talmente tanti spunti che la cucina potrebbe anche essere trascurabile. E invece no, qui si vive un’esperienza davvero interessante, grazie alla visione di Gian Luca, che intende il suo locale come teatro di un racconto di storie, di persone, del territorio. E grazie allo chef Sodano, classe 1988, esperienze con Anthony Genovese e con Oliver Glowig, che si propone di declinare il pensiero dei Rana con uno sguardo contemporaneo, avanguardista, tecnico, personale, con grande attenzione alle fermentazioni, ai gusti laterali, agli accostamenti impensabili.

Tre i menu. Il Ricomincio da tre, omaggio a Massimo Troisi, il più biografico di tutti, si compone di dodici portate in sei atti, al costo di 180 euro (più 130 per l’eventuale pairing). Il Contaminazioni, che esplora le esperienze internazionali dello chef, consta di sei portate a 130+80 euro o di otto portate a 150+10°. Il Vegetale di sei portate a 90+60 o di otto a 120+80.

I piatti che ho assaggiato provenivano principalmente dal primo percorso a comporre una narrazione lunga e avvincente, della quale qui è possibile render conto solo in parte. Dopo alcuni smack iniziali, serviti in diversi round (cito il Cannolo ripieno di stracotto di polipo, il Waffle con emulsione alle ostriche e caviale di aringa e il Finto nigiri con risone, vinaigrette orientale, emulsione di rafano e ventresca di tonno), ho trovato memorabili la Seppia sporca (ovvero cotta con tutta la parte delle pelli) e friarielli in versione classica e per estrazione, con emulsione di quinto quarto di seppia e una bottarga sempre di seppia, seguito da una chips di seppia servita su un osso (indovinate? Di seppia); il Non hai Scampo, uno scampo che subisce un processo di frollatura di otto giorni in un grasso di rognone affumicato, chutney di mango e curry, emulsione di cocco e lime; il signature dish di Sodano, Porro tra fumo e cenere, dove l’ortaggio è cotto ancestralmente sotto cenere e servito con emulsione di cipollotto la prato con aglio nero, miso di limone e cenere di cipollotto edibile; quindi il Raviolo con asparagi, robiola ai tre latti tagliata con latte fermentato, bruscandoli, limone candito, palamita affumicata e frollata per dieci giorni, caviale; altro episodio saliente il Risone allo stoccafisso di storione; quindi una Triglia leggermente frollata con rossetti marinati con un garum di triglia. I dolci: Crema di foie gras lavorata con madeira e porto con aceto balsamico di cipolla, cioccolato affumicato e chips e burro di koji, il tutto sulla zucca con yogurt di bufala, pinoli, polvere di alloro e yogurt di bufala, in cui tutto il lavoro è fatto da quattro enzimi (amilasi, peptinasi, cellulasi e proteasi) e un Negativo di pane e nutella.

Il locale è di ampie bevute, nel senso che oltre a una carta di vini (curata dal bravo che dà spazio sia a cantine blasonate sia a referenze “ribelli” ci sono drink di differenti generi.

Servizio soave e caloroso.

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