George, l’oro di Napoli

Il ristorante dell’hotel Parker’s è l’unico a vantare due stelle Michelin nella città partenopea, grazie alla vista sublime ma soprattutto alla cucina di memoria e di viaggio dello chef Domenico Candela, che innesta le tecniche apprese in molti anni di lavoro in Francia sull’ordito della tradizione partenopea. Che ha il suo apice nella festa della pasticceria finale

George, l’oro di Napoli

Napoli non è mai andata molto d’accordo con le stelle Michelin e con l’altissima ristorazione in generale, come spesso accade alle città con una potente tradizione di cucina familiare e regionale, a cui sembra non sia opportuno chiedere anche un po’ di ricerca e di pensiero. Poi negli ultimi anni qualcosa è cambiato e la città ha preso a muoversi in direzione del fine dining. Sustànza di Marco Ambrosino, Aria, Veritas, il ristorante di Alain Ducasse che ha preso il testimone del Comandante al Romeo Hotel, Palazzo Petrucci anche se ha di recente perso la stella, sono tutti posti a loro modo interessanti e che fanno parlare di Napoli a tavola ben al di là della pizza. Ma la storia più interessante è quella del George, il ristorante dell’hotel Parker’s dedicato a quel George Parker, biologo marino che alla fine dell’Ottocento acquisì l’hotel, che guarda il golfo di Napoli dalla collina, guidato magnificamente dallo chef Domenico Candela.

Candela ha trascorso diversi anni in Francia prima di tornare nella sua città (uno dei suoi piatti, il 4 Aprile 2012, prende proprio il nome dalla data del suo arrivo oltralpe) ed esibisce una compostezza e un senso scenica tipicamente transalpino che unisce a una tecnica internazionale e a una concretezza saporosa assolutamente napoletana. La sua è una cucina di rimembranze, di viaggio, di profumi, difficile da classificare, sospesa tra classicismo e modernismo, assai interessante da provare e da raccontare considerando il contesto cittadino, assai votato – forse più nello sguardo esterno – alla cartolina affrancata.

In carta attualmente ci sono tre menu: il Since 2018… (190 euro) rappresenta una retrospettiva sugli ultimi sei anni del locale, anche se quei puntini fanno immaginare un percorso in divenire; il Progresso Mediterraneo è un menu assai concettuale, che interpreta il territorio in senso ampio e mi piacerebbe dire “politico” (205 euro); il Viaggio Goloso è invece la playlist più godurioso e con maggiori tracce francesi (250 euro). A questi si unisce per la stagione il menu Caccia al tartufo bianco, contrassegnato dalla generosa presenza del nobile tubero (160 euro, il tartufo 9 euro al grammo).

Io ho girovagato tra i piatti dei vari menu, godendomi il privilegio. Sono partito da una serie di snack da subito assai stimolanti, una piccola Margherita cotta al vapore servita in un contenitore con il coperchio ancora talora usato per le pizze da asporto; un crocchè di patate con polvere di shiso e la nota sapida di un “apricoboshi”, servito su una ceramica che riproduce la prima pagina del Mattino il giorno dopo il primo scudetto del Napoli (era il 1987); una sfera resa nera dal carbone vegetale con dentro del polpo alla luciana; l’Oliva numero 25 che ricorda il Natale e che lo chef ama definire “oliva di rinforzo”, citando la tradizionale insalata delle feste.

Poi, dopo una coppettina con una granita profumata alla mandorla, brunoise di melone bianco al naturale, spuma di melone fermentato, condito con succo di limone, menta e zenzero e polvere di anice stellato, che serve a preparare la bocca al seguito, ecco il primo colpo: 1980, un gambero viola al naturale scottato pochi secondi, con alla base crema di aglio nero e sopra indivia marinata in aceto di rosa rugosa e una salsa cocktail moderna. Quindi il cosiddetto Tributo alle tradizioni arcaiche, una torzella, ovvero un cavolo a foglie arricciato alla napoletana, farcito di lenticchie di Castelluccio di Norcia, alcune delle quali croccanti, polvere di liquirizia calabrese e un estratto di torzella che serve a rendere più deciso il sapore amaro e sapido del piatto. Che definirei à la Romito, si parva licet.

Poi delle Lumache trifolate con alla base una crema di erbe spontanee, gel di eucalipto, estratto di acetosella e semi di prezzemolo e un magnifico Fungo porcino cotto al kamado, tradizionale barbecue giapponese in ceramica, crema di nocciole e pesto di cipresso, sopra una duxelle di funghi, nocciole fresche tostate grattugiate, salicornia, germogli di abete, emulsione di grano saraceno e funghi. Qui il già citato 4 aprile 2012, il piatto forse più francese di tutti, una Scaloppa di foie gras delle Langhe servita con zucca lunga napoletana in diverse consistenze, semi zucca e crema di kumquat, salsa al curry Madras.

E i primi? Per essere a Napoli non sono proprio al centro del progetto, anche se i Tubetti di Gragnano cotti in estrazione di zafferano, con zuppa di pesci di scoglio in stile bouillabaisse, salsa all’arancia e l’esotismo del gel al tamarindo e dell’alga nori sono davvero notevoli. E il Raviolo iberico dalla forma a barchetta, farcito di stoccafisso, con alla base estratto di rosmarino bruciato e gel di carpione e una salsa pil pil preparata con le parti meno nobili dello stoccafisso e con i ceci è un gioco interessante di consistenze e sapori. Chiusura del salato con Sorella Giapponese, un wagyu di Kagoshima cotto unilateralmente con caviale di melanzane, crema di ricci di mare, salsa diavola aromatizzata al caffè

Dopo un intermezzo costituito dalla Ricotta pere e cacao, ecco i dolci: dapprima il gioco del Sarchiapone, ovvero la limonata “a cosce aperte”, così detta dalla posizione che si usa per evitare di bagnarsi con l’effetto che il bicarbonato crea con il limone. E poi Citrus, a base di sette agrumi differente tutti coltivati in Campania, con una base di biscotto al grano saraceno, una madeleine al rosmarino e il cremoso di agrumi. Ma il vero spasso è in luna park dei dolci finali, con numerosi e spettacolari omaggi alla città: l’Asso di coppe, emblema di prosperità e buona fortuna, cela al suo interno babà il più piccolo della città con crema chantilly e confettura di albicocca. L’Omaggio a Capri è una torta caprese al limone. Il Maschio angioino custodisce una tartelletta con castagne e gel di Moscato d’Asti e un croquelin farcito con namelaca di banan e caffè e lo “Scartellato”, ovvero il gobbo, offre due corni di cioccolato fondente aromatizzato ai tre pepi e peperoncino, accompagnato al miracolo di San Gennaro, un cocktail “ematico” a base di vermuth Rubino, lime e sciroppo ai semi di sambuco.

Insomma, ci si diverte, e

tra un piatto e l’altro si vede Napoli dall’angolo migliore possibile. E si gode di una cantina notevole, con il bonus di avere tutti i vini anche al bicchiere. Il servizio è cordiale ed empatico, come si confà a Napoli.

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