Nel dubbio che al mondo del vino mancasse ancora una classificazione, la Guida Michelin ha deciso di intervenire. Dopo avere organizzato la ristorazione in stelle e l’hotellerie in chiavi, ora tocca ai produttori vinicoli, convocati sotto il segno del Grappolo Michelin, nuova etichetta che debutterà nel 2026. L’obiettivo dichiarato è quello di offrire un riferimento internazionale; quello implicito, più prevedibile, è ampliare il raggio d’azione del marchio in un settore che non ha mai avuto problemi di sovraffollamento critico.
Il sistema è semplice: uno, due o tre grappoli, più un livello “Selezionato”. La scala, rassicurante nella sua linearità, ricalca quella già rodata nelle guide gastronomiche. Tre grappoli ai produttori “eccezionali”, due agli “eccellenti”, uno a chi propone vini di qualità soprattutto nelle annate migliori. La categoria dei selezionati, invece, raccoglierà le aziende considerate affidabili. Una struttura che non porta troppa complessità: l’intento è offrire una mappa rapida, immediata, da consultare senza perdersi in tecnicismi.
Per giustificare la nuova architettura valutativa, Michelin mette sul tavolo una metodologia fondata su cinque criteri universali: agronomia, competenza tecnica, identità, equilibrio e costanza. Sul primo punto, si valuterà lo stato del suolo e la cura della vite, come se la viticoltura avesse scoperto solo ora che un terreno in buona salute incide sulla qualità del vino. La competenza tecnica riguarda invece processi e scelte di cantina, con l’obiettivo di individuare vini “ben sviluppati” e fedeli al terroir. L’identità, categoria elastica per definizione, servirà a premiare chi riesce a raccontare un luogo; l’equilibrio misurerà la capacità di non far prevalere legno, alcol o acidità. Infine la costanza, parametro molto tenuto in conto anche nella guida dei ristoranti, che può rendere più o meno felice un produttore: perché essere giudicati sulle annate difficili fa emergere virtù o limiti che molti preferirebbero tenere nascosti.
Naturalmente le valutazioni “liquide” della Michelin saranno destinate a fare discutere come quelle “solide”, che ogni anno scontentano gli esperti convinti che i canoni utilizzati dalla “rossa” non premino i ristoranti migliori. Come che sia, gli ispettori dedicati saranno dipendenti Michelin, selezionati tra ex sommelier, critici o tecnici del settore. Una squadra “collegiale e indipendente”, secondo il comunicato ufficiale, che però mantiene intatta la domanda più ovvia: come si concilia l’indipendenza con un marchio che, ogni anno, sposta equilibri economici importanti? Nulla di nuovo: è il tema che accompagna da sempre la guida, a volte con più entusiasmo critico di quanto Michelin gradirebbe.
Per il debutto, la scelta cade su due territori impossibili da sbagliare: Borgogna e Bordeaux. La prima, con i suoi appezzamenti minuscoli e le dinastie familiari; la seconda, patria dei grandi châteaux che alimentano l’immaginario del vino francese da secoli. Due regioni che parlano lingue diverse ma rappresentano, entrambe, la comfort zone perfetta per lanciare un progetto che ha bisogno di autorevolezza immediata. Il resto del mondo, dall’Italia alla California, aspetterà il proprio turno, quando la macchina sarà ben rodata.
L’appuntamento è al 2026, quando arriveranno le prime selezioni.
Solo allora si capirà se il Grappolo Michelin porterà un reale contributo al caos ordinato del settore o se si limiterà ad aggiungere un nuovo bollino da appiccicare sulle etichette, in un mercato che da anni sembra più interessato alle certificazioni che alle bottiglie. Un risultato che, comunque vada, sarebbe perfettamente coerente con i tempi.