
Sui monti Appalachi, il museo Pertini non ce l'hanno. E a dirla tutta non hanno neanche il vento di mare 260 giorni l'anno, i porcini e le castagne. E sicuramente non hanno i cereali antichi che fin dagli Etruschi rappresentano la base della dieta mediterranea. Però, gli Appalachi - una catena montuosa di oltre tremila chilometri che taglia verticalmente gli Stati Uniti dal Quebec alla Georgia - sono storicamente la patria del whiskey illegale, mentre la Liguria lo è del pesto e della focaccia. Detto questo, nulla impedisce a Sassello di diventare l'ombelico italiano della distillazione artigianale.
Non è semplicemente l'eterna voglia di imitare l'America, la gucciniana pulsione di Amerigo, il perdersi fra la realtà della via Emilia (o dell'Aurelia) e il West. È vivere un territorio visceralmente e sognare in grande. Questo sta facendo Dario Assandri, l'uomo che da tre anni vince la medaglia d'oro al World Whisky Awards per il miglior moonshine, ovvero il whisky non invecchiato, distillato alla maniera dei contrabbandieri americani durante il Proibizionismo. Come se non bastasse, Dario distilla nell'entroterra savonese in un mulino del 1830 di proprietà della sua famiglia da cinque generazioni, in cui lui è nato e cresciuto. Una storia così affascinante da essere raccontata da vicino.
Il Mulino di Sassello è facile da trovare e da visitare. È all'inizio del paese famoso per gli amaretti, immerso in un microcosmo di boschi freschi. Un laghetto assicura acqua per la ruota di ferro
che muove la macina. Perché se il moonshine è il volto dell'azienda di Diego e del papà Rinaldo, le farine sono il cuore. E i cereali l'anima. «Fino agli anni '80 macinavamo per i contadini - racconta Diego in uno dei suoi 32 mini-appezzamenti -. Poi le valli si sono spopolate e abbiamo deciso di coltivare noi i cereali per le nostre farine».
Da qui, da un terroir e una materia prima eccezionale «che è un concentrato di sapore», ha iniziato a germogliare un'idea: «Il whisky mi ha sempre incuriosito, ho viaggiato in Scozia, Irlanda e Stati Uniti e pian piano mi rendevo conto che l'unica via per un whisky italiano era puntare su quello per cui siamo famosi nel mondo: pizza e pasta, i cereali autoctoni». Quindi mais locale, farro, segale, grano tenero e grano duro Senatore Cappelli, tutti macinati a pietra ovviamente. Perché, come ama ripetere Diego, «l'industria è fondamentale, ma ci lasci fare gli artigiani per chi vuole concedersi il lusso di un'eccellenza di nicchia, dalla polenta al distillato».
Già, il distillato. Su questi monti, dove d'inverno fa un freddo becco e fino a pochi anni fa si sciava perfino, più o meno tutti si facevano la grappa in casa, senza dirlo troppo in giro: «Il know how ce l'avevamo - sorride Diego -, i cereali pure. Mancavano gli alambicchi». Per quelli, ha dovuto rivolgersi in Sudafrica e negli Usa e giustamente ne va fiero. Da Portofino gin in giù, sono parecchi i superalcolici liguri, «ma in tutta la Riviera c'è una sola vera distilleria, cioè un impianto che produce alcol: noi».
Il procedimento è particolare: nessuna maltazione, ma una extracottura con gelificazione
che consente di mantenere il più possibile le proprietà della materia prima. Dipendenti? Zero. «È un po' una one-man-band, faccio tutto io. Tranne pelare i chinotti, in quello la mia compagna è imbattibile». Che c'entrano i chinotti con il moonshine? Beh, sono l'ingrediente principale, insieme al miele, della versione aromatizzata. Perché il «Signor Camillo» - così si chiama il moonshine di Sassello, come il nonno di Diego, «l'uomo che mi ha insegnato la cultura delle cose buone» -, viene commercializzato in tre versioni: il Classico, bianco e puro, che dà un guizzo unico ai cocktail; Cuore di legno, in cui macerano trucioli di botte; e Chinotto e miele appunto, che trae ispirazione dal Southern Comfort americano e racchiude l'essenza dell'entroterra ligure.
I risultati non si sono fatti attendere. I premi, certo, ma anche un distributore (1492 Coloniale group) e la fiducia per il prossimo passo: «Il primo vero whisky, cioè invecchiato almeno tre anni come da disciplinare.
Lo lanceremo nel 2026 e sarà a base 100% farro», racconta Diego con gli occhi che brillano, davanti a una parete di mignon di alcolici. Li indica: «Ho iniziato a collezionarli da ragazzo, li tengo in distilleria per ricordarmi che i maestri sono loro». L'entusiasmo è niente senza umiltà, almeno quanto il whisky è niente senza i cereali.