
Un napoletano a Venezia. Dallo scorso 1° luglio Carmine Amarante guida tutta l’offerta gastronomica dell’Hotel Ca’ di Dio di Venezia, un cinque stelle membro della collezione VRetreats, brand di hôtellerie di VOIhotels, che si trova sulla riva meridionale della città, in quel restingimento prima della coda di quel pesce che è Venezia.
L’ingaggio di Amarante rappresenta certamente un salto di qualità della proposta gastronomica, in particolare nel ristorante fine dining VERO Restaurant, il più ambizioso dei vari outlet dell’albergo – l’all day dining Essentia dove si svolge anche la magnifica colazione, e il cocktail bar Alchemia. Classe 1990, e quindi ancora piuttosto giovane, Amarante ha esperienze importanti nel passato, avendo lavorato con Heinz Beck, con Nino Di Costanzo patròn di Danì Maison a Ischia e con la famiglia Iaccarino di Don Alfonso 1890; poi ha guidato per diversi anni l’Armani Ristorante di Tokyo, dove si è guadagnato, nel 2022 , il premio come “Chef dell’Anno in Asia” del Gambero Rosso, oltre a molti altri riconoscimenti, tra i quali la stella Michelin nel 2018.
La sua cucina è rigorosa, coerente, evocativa. Parte da una materia prima di alto livello, spesso proveniente dal territorio (e la laguna, che Amarante sta imparando a conoscere, è una dispensa vivente) e tende a valorizzarla sia a livello tecnico sia a livello espressivo. “La mia cucina – spiega lui stesso - è mediterranea, basata per il 70 per cento sul pesce e per il 30 sul vegetale. I miei piatti nascono da cotture particolari e tecniche di marinatura. La stagionalità degli ingredienti per me è fondamentale, anche per un discorso di sostenibilità, principio che ho sposato soprattutto dopo essere stato in Giappone”. Amarante tende ad avere un rapporto stretto con i fornitori, con i quali collabora per essere certo che producano la materia prima in coerenza con il suo stile e con la sua etica.
VERO Restaurant propone due menu degustazione: il Tradizione (cinque piatti, 150 euro) e il Contemporaneo (otto portate a 170 euro). Ogni percorso prevede la possibilità di un abbinamento vini studiato dal sommelier. C’è anche la possibilità di scegliere due piatti e un dessert dalla carta a 100 euro. Io ho provato il Contemporaneo con qualche divagazione escogitata dallo chef.
Sono partito con i Cicchetti, un piacevole benvenuto che gioca con le “tapas” veneziane: chips di polenta e schie, bao con pepe di Sichuan e pancetta crociata, cannolo con crema di patate e tartufo nero, cono con crema di cipolla e crema di basilico e furikake e infine la caprese dello chef, realizzata con tre diversi tipi di pomodoro, burrata, origano e olio evo.
Dopo aver fatto conoscenza con il pane, in particolare con la golosissima versione di Amarante del casatiello (decisamente ingentilito), inizia il mio percorso: ecco l’Uovo marinato all’interno del tartufo con tartufo bianco, porcini e finferli, il tutto deposto su un letto di rucola; poi una Ricciola frollata per 12 giorni, poi leggermente marinata, affumicata e condita con del chimichurri, erbe e caviale. Quindi il trionfale Astice blu con salsa a bade di una zucca giapponese, cipollina borrettana, tartufi, nduja e salsa mediterranea.
Piccola pausa e riprendo con uno strano risotto, che scopro poi essere realizzato con della pasta di semola di Gragnano a forma di riso e mantecato con del profumatissimo zafferano akaito proveniente dall’isola di Kyushu, che lo chef ha apprezzato nella sua lunga militanza nipponica. Poi un Tortello genovese, con ragù bianco di wagyu, crema al parmigiano, crema di cipolle e tartufo nero e delle potentissime Eliche con salsa di zuppa forte, polvere di pomodoro aromatizzato al peperone e ricci di mare freschi.
Capitolo secondi: si va per mare con il San Pietro scottato nel carbone giapponese e servito con diverse tipologie di erbette e una salsa di patate con vongole. Si torna a terra con un magnifico Piccione frollato 14 giorni e sottoposto a tre cotture, servito con salsa barbecue, senape, lattughino alla brace e salsa barbecue.
Chiusura con tre dolci: un Limone salato con gelato alla salvia e tartufo bianco, un assoluto di Pistacchio di Bronte lavorato in cinque differenti texture (crudo, in gelato, in salsa, tostato, e con l’olio tratto dalla pelle) e un Ti-ra-mi-su che in realtà è una specie di illusionismo: si tratta di una millefoglie in cui si alternano strati di gelato di caffè bianco e mouse di mascarpone a una ganache di cioccolata al 70 per cento, mousse di mascarpone. Infine dei petit fours molto casalinghi e molto meridionali: tartelletta con crema di lampone, sfogliatella, babà, pesca marinata nel vino bianco, zeppola e cannolo.
La cena ci fa essere contenti del fatto che Amarante sia tornato da noi e ci spinge a pensare che presto la critica si accorgerà della sua presenza a Venezia (noi lo
abbiamo già fatto). E poi la carta dei vini è interessante, il servizio attento e il locale elegante e salottiero. E fuori passano i vaporetti e si intravedono San Giorgio Maggiore e la Salute. La voglia di tornare è tanta.