
Una griglia infuoca Milano. E’ quella di Ronin Robata, il ristorante che è il cuore della palazzina di tre piani, House of Ronin (浪人), che da qualche anno ha elettrizzato la Chinatown meneghina. Un locale sempre vivo e vibrante, che ha al piano terra il Piccolo Ronin, un locale informale di cucina panasiatica, al secondo piano il ristorante omakase Hatsune Ronin, il raffinato cocktail bar Madame Cheng’s e alcune sale per il karaoke (sì, avete capito bene) e al terzo piano il club privato Arcade.
E al primo piano? C’è appunto Ronin Robata, che qualche mese fa ha inaugurato la sua seconda vita (Ronin Robata vol. II) dopo alcune correzioni di rotta coerenti con lo spirito di House of Ronin, che prevede una continua evoluzione in funzione delle tendenze e dei feedback della clientela. Ronin Robata mette ora al centro del progetto lo Yakiniku, un metodo di cottura che permette di esaltare i tagli della carne di alta qualità. Lo Yakiniku è arrivato in Giappone negli anni Sessanta dello scorso secolo, importato dagli immigrati coreani, ed è stato adottato e reinterpretato dai giapponesi con il loro tradizionale stile, preciso, maniacale epperò elegante. Un gesto quotidiano che diventa arte e che dà vita a un’esperienza sensoriale indimenticabile.
Da Ronin Robata questo rituale è riproposto con un grande rispetto, ma anche con quel tocco di calore tipicamente italiano che tutto ravviva. Chi entra al Ronin si trova in un ambiente raffinato e contemporaneo, con una prevalenza di rosso che già predispone all’innamoramento. Ogni tavolo ha al centro una griglia pronta a essere accesa in modo che il cliente possa cuocervi – scegliendo il grado di cottura in base alle proprie preferenze, anche se il personale è pronto a dare dei suggerimenti – carni di altissima qualità. Una liturgia divertente e coinvolgente, come tutte le modalità interattive di consumo del cibo.
Ma prima di arrivare alla fase clou della cena, c’è la possibilità di fare un po’ di stretching con le proposte del sushi bar. Io provo un tris di nigiri (ricciola con miso rosso e ricci di mare, lo Zuke akami che è un filetto di tonno alla soia con wasabi e il sorprendente pomodoro con togarashi, un mix di spezie giapponesi, e lattuga di mare ed è notevole come l’umami del pomodoro funzioni con il riso), uno straordinario gambero rosso di Mazara con verdure e yuzu e una ricciola con tosajoyu e porro. Inizio da incorniciare.
Poi alcuni antipasti caldi: dei gyoza di melanzane affumicate e due mini-burger di Wagyu con maionese. Quindi si accende la griglia e l’atmosfera si riscalda. In tavola arrivano alcuni pezzi di carne tagliati geometricamente e visibilmente di alta qualità (l’eccellenza si riconosce sempre): un controfiletto di Wagyu australiano Pardoo, un controfiletto di selezione Hanami frollato per quaranta giorni, una noce di Wagyu A5. Passerò i successivi venti minuti a godermi lo spettacolo della carne che sfrigola sulla griglia in precedenza opportunamente preparata con del grasso (sempre di Wagyu). Le operazioni devono essere svelte, le carni richiedono pochi secondi di cottura (da cinque a quindici) e vanno mangiate quando sono ben calde. Una vera goduria. Le carni sono accompagnate da alcuni “side dish” come delle verdure cotte in aceto di riso e sesamo, un cavolo cappuccio con gomawakame e salsa al wafu, del kimchi, una miso sarada di lattuga, un riso all’imperiale. Dopo tutto questo trionfo di proteine e di attività manuali, olfattive, gustative, uditive e tattili, mi rilasso con una Tartelletta di pralinato alla nocciola, banana e gelato al caffè e con un buon cocktail che arriva da Madame Cheng’s.
La carta dei vini è ricca e adeguata alla proposta, poi ci sono sempre, per l’appunto, i drink del bar, in alcuni casi preparati davanti al cliente. Il servizio è gentile e accogliente, Pietro e Paolo (armonici anche nel nome) rispondono volentieri alle domande di un pubblico incuriosito dalla griglia a centro tavola e timoroso di fare errori.
Ronin Robata fotografa perfettamente il momento dell’alta ristorazione milanese, che concilia la qualità della materia prima con un’atmosfera coinvolgente, perché la separazione accademica tra chi fa e chi mangia, come tra chi insegna e chi impara, non ha più molti aficionados. E’ un’esperienza divertente e differente da molte altre, anche se ovviamente i prezzi non sono lievi (ma l’eccellenza si paga, sempre).
E poi Ronin Robata è uno dei pochi ristoranti a Milano iscritti al consorzio di Kobe, un riconoscimento che nel mondo del Wagyu rappresenta un segno distintivo. Inoltre, collabora con Muhenaru Ozaki san, l’unico allevatore giapponese autorizzato a dare il proprio nome alla carne Wagyu.