Quando venne chiamato nel 1970 a insegnare all'Università di Roma storia delle dottrine politiche, prima, e filosofia della politica, poi, Augusto Del Noce, che aveva appena compiuto sessant'anni, era già considerato uno del maggiori filosofi cattolici del Novecento. Alcuni lavori - in particolare Il problema dell'ateismo (1964) e Riforma cattolica e filosofia moderna (1965) - erano diventati classici per il loro carattere innovativo e per l'attenzione al problema della modernità oltre che per le suggestioni che fornivano ai fini di un discorso interpretativo in chiave filosofico-culturale della storia moderna e contemporanea. Proprio in quell'anno, il 1970, Del Noce pubblicò un libro, L'epoca della secolarizzazione , ora riproposto dall'editore Nino Aragno (pagg. XII-356, euro 20), che raccoglieva alcuni saggi scritti negli anni immediatamente precedenti.
Era ancora viva l'eco della contestazione studentesca e della generale ubriacatura per le tesi di Herbert Marcuse sull'«uomo a una dimensione» e per le vaneggianti utopie politico-sociali degli epigoni della cosiddetta «scuola di Francoforte». Quella contestazione era diretta, soprattutto, al di là dei suoi aspetti eversivi, contro la società tecnocratica e consumistica. Ma aveva una vocazione rivoluzionaria che si manifestava nella proposta di un mondo perfetto, tutto terreno, privo di limiti morali, fondato sul rifiuto del principio d'autorità, sull'esaltazione dell'erotismo, sull'ateismo. Già da tempo Del Noce, riflettendo sugli avvenimenti e sul costume di quegli anni, era giunto alla conclusione che, dietro le manifestazioni di contestazione della civiltà tecnocratica e consumistica che tendeva a «disumanizzare» l'individuo, ci fossero una profonda crisi di religiosità e l'abbandono dei cosiddetti «valori tradizionali».
Il nuovo volume, appunto L'epoca della secolarizzazione , sistematizzava le sue riflessioni in argomento e dava loro una forma organica che si traduceva in una suggestiva visione generale della storia contemporanea intesa come «storia filosofica», cioè come storia caratterizzata dal fatto che, dall'epoca della rivoluzione russa, una filosofia, il marxismo, si era incarnata in istituzioni politiche e aveva finito per condizionare tutti gli avvenimenti. Da quel momento, infatti, ci si era dovuti confrontare, per aderirvi o per combatterlo, con il marxismo giunto al potere e la storia era diventata così «storia filosofica». Ma non basta: essendo il marxismo, intrinsecamente, ateismo ne conseguiva che tutta l'età contemporanea, quella successiva al 1917, poteva ben essere qualificata come «epoca della secolarizzazione» caratterizzata dall'espansione dell'ateismo e dai tentativi, spesso destinati a fallire, di resistere a questa deriva. All'interno di questa «epoca della secolarizzazione» si potevano individuare due periodi definiti, rispettivamente, «sacrale» e «profano»: il primo, quello delle grandi religioni secolari (comunismo, fascismo, nazionalsocialismo), il secondo quello della cosiddetta «società opulenta» dalla quale, e contro la quale, era scaturita la contestazione.
È intuitiva la forza dirompente di questa interpretazione della storia contemporanea. Basti pensare al fatto che essa metteva in crisi tutti i discorsi storiografici che parlavano di una «epoca del fascismo»: essendo infatti - al pari del comunismo e del nazionalsocialismo - soltanto un «momento» dell'«epoca della secolarizzazione», il fascismo non poteva dare il proprio nome a un intero periodo storico, tanto più che le tre «religioni secolari» avevano, ognuna, proprie caratteristiche evidenziabili solo in relazione al marxismo.
Nel suo volume del 1970, che resta ancora oggi un testo fondamentale per la comprensione dell'età contemporanea, sono contenuti, sia pure in germe, gli argomenti che Del Noce, in seguito, avrebbe sviluppato e precisato in molti altri lavori contro il «progressismo laico», sotto specie di «neoilluminismo», e contro il «progressismo religioso», sotto specie di «neomodernismo». Ma, in particolare, sono presenti le premesse della sua interpretazione del fascismo e dell'antifascismo quale si sarebbe sviluppata dalla riflessione suggeritagli dalla lettura del breve ma intenso saggio di Giacomo Noventa intitolato Tre parole sulla Resistenza (Castelvecchi). Personalità in penombra nel mondo intellettuale del tempo, Noventa era l'eretico della Torino degli anni Venti e Trenta, la Torino di Piero Gobetti e di Giacomo Debenedetti, di Mario Soldati e di Carlo Levi. Aveva sostenuto che il fascismo era stato un «errore della cultura» e non già un «errore contro la cultura» secondo le tesi della «scuola torinese» da Gobetti a Bobbio, per la quale l'essenza del fascismo era l'anticultura o, se si preferisce, la rivolta contro la cultura.
Del Noce, anch'egli un eretico - ma della Torino anni Trenta e Quaranta, la Torino di Leone Ginzburg e di Ludovico Geymonat, di Norberto Bobbio e di Cesare Pavese - avrebbe precisato e sviluppato questa intuizione sottolineando la comune sostanza filosofica del fascismo e dell'antifascismo: l'attualismo di Giovanni Gentile cui attingevano sia il rivoluzionarismo di Mussolini sia l'intransigentismo morale di Gobetti. E sarebbe giunto a parlare della continuità del fascismo nell'antifascismo e ad auspicare il superamento e l'abbandono della contrapposizione fascismo-antifascismo. Un auspicio ancora valido.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.