Il bestsellerista: «Mancano immagini potenti e uomini simbolo»

Il bestsellerista: «Mancano immagini potenti e uomini simbolo»

Non è semplice scrivere romanzi sulla politica italiana contemporanea. In altri Paesi, come gli Usa, è più facile raccontare grandezze e miserie del Palazzo: basti pensare ai libri di Gore Vidal a partire dal ciclo di Narratives of the Empire. In Italia, invece, se l’ambientazione è quella dei Palazzi romani quel poco che viene scritto assume il tono della macchietta o dell’invettiva di parte. Insomma manca sempre l’afflato epico, e in fondo anche il successo di pubblico. Abbiamo cercato di capire perché chiacchierando con Valerio Massimo Manfredi, storico e scrittore che di epica se ne intende (Lo scudo di Talos, L’ultima legione, Idi di Marzo...).
Professor Manfredi ma perché è difficile romanzare la politica contemporanea del nostro Paese?
«Nel romanzo che ho pubblicato l’anno scorso, Otel Bruni, io racconto anche un bel po’ di politica italiana, sino agli anni Cinquanta. Ma allora la tempra degli uomini era diversa... Le faccio un esempio semplice: quando affondò l’Andrea Doria, il comandante Calamai fu costretto a lasciare la nave vuota, restò sino all’ultimo. Schettino è saltato giù. È una metafora ma rende bene l’idea».
Quindi niente epica, manca lo spessore.
«Non è facile fare un romanzo con le liti televisive, parlare di una politica tutta tesa ai vantaggi elettorali. È finta politica. I nostri ragazzi non sanno dove guardare. Non è che non manchino dei singoli politici diversi da questo modello, capaci di dignità e di impegno, ma manca una visione, una prospettiva d’insieme».
Ma quand’è che la politica italiana ha smesso di essere un oggetto interessante per la narrazione?
«Il grande discrimine secondo me è stata la fine dello scontro con le Brigate Rosse. L’Italia in qualche modo è stata una terra di frontiera. C’era un clima cupo ma creava uno spazio epico. Mi ricordo la figura esile di Pertini china sulle bare. Era un immagine potente. Non era questione di colore politico tutto il Paese poteva riconoscersi in quell’uomo anziano che portava un grande peso».
Poi?
«Poi è finito tutto. Siamo una Nazione forse più marginale di un tempo. Una Nazione magari più ricca ma che su molti fronti ha scelto il disimpegno, i televisori al plasma. Al massimo quello che si può ambientare in un contesto così è qualche thriller».
Ma se lei dovesse ambientare un romanzo nell’oggi che sfondo sceglierebbe?
«Sceglierei l’Afghanistan dove ci sono italiani che soffrono e che muoiono. Combattono in una situazione tremenda, difendono avamposti che nemmeno Forte Apache... Questo sì che è epico.

Oppure sceglierei come sfondo il mondo della grande finanza. Le banche. In quel contesto adesso si muove il potere. La politica del resto in questo momento è stata messa all’angolo. Resteranno i tecnici, almeno fino a quando non si troveranno orizzonti nuovi».

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