Che facce di bronzo i potenti dell'antichità

I capolavori di età ellenistica provenienti da tutti il mondo in esposizione a Firenze

Firenze - Il potere è una concezione universale, che appartiene al mondo. Il pathos un'invenzione dei greci, connaturata all'Uomo. Se uniti, possono generare la forza dei sentimenti o la passione del comando. Oppure una grande mostra, come Potere e pathos che apre oggi a Palazzo Strozzi, a Firenze: ecco i capolavori in bronzo dell'età ellenistica, dal IV secolo a.C. al I secolo d.C., ritrovati nel tempo dal Mediterraneo al Mar Nero, dall'Etruria a Creta, sparsi in 34 musei di tredici Paesi e quattro continenti, da Malibù a Salonicco, moltissimi arrivati per la prima volta in Italia. Curata dagli americani Jens Daehner e Kenneth Lapatin, tre anni di lavoro, sette sezioni per altrettante sale, un percorso allestito con basamenti e pannelli che riproducono la pietra serena del palazzo fiorentino e didascalie che utilizzano lo stesso carattere delle lapidi antiche, l'esposizione – nata in collaborazione con il Getty Museum di Los Angeles e la National Gallery of Art di Washington, e che a Los Angeles e a Washington arriverà dopo la chiusura di Firenze, il 21 giugno - raccoglie cinquanta delle duecento statue in bronzo del periodo ellenistico rimaste oggi sul pianeta. Un quarto di quel patrimonio è qui.

E qui ci sono busti e figure di divinità, di atleti, di generali, di eroi – ecco l'universalità del Potere – e anche di artigiani, di efebi, di aristocratici, di fanciulli – ecco la quotidianità del pathos. Che a volte sono inscindibili: l' Eros dormiente del III-II secolo a.C. del Metropolitan di New York, disteso e con le ali di angelo, è un dio sfinito o un bimbo addormentato?

«Ogni singola statua che c'è qui dentro – dice e Kenneth Lapatin, archeologo del Getty Museum – è degno di una mostra a sé. Uno accanto all'altro raccontano una storia, che è la Storia antica, e un mondo...». «Ma le statue sono così belle – sospira – che non serve neppure che il visitatore conosca la storia e la mitologia, parlano da sole... Guarda la Testa di Afrodite del British Museum, o l' Apollo di Piombino, o quel ritratto maschile che arriva da Parigi, con la barba accennata e le ciglia, fatte nel bronzo... Sembrano persone vive che tornano dal loro passato, con le loro storie».

Storie di potere: come la statuetta di Alessandro Magno a cavallo , un bronzo del primo secolo scoperto a Ercolano nel 1761, oggi all'Archeologico di Napoli, che è il simbolo della mostra: il Macedone trionfante, col diadema reale tra i capelli che monta Bucefalo. O come la testa-ritratto di un diàdoco, un generale, oggi al Prado di Madrid, che ha il carisma del condottiero e le misure monumentali di un gigante alto tre metri e mezzo. O come la statua-ritratto dell' Arringatore , il politico che parla al popolo, la destra protesa in avanti col palmo aperto nel gesto del silentium manu facere che precedeva l'orazione pubblica, così identico, ieri, ai senatori e ai populisti, oggi. Il potere non conosce età.

E storie di pathos: come la statuetta di un artigiano del I secolo a.C., dal Metropolitan di New York, panciuto e semicalvo, forse zoppicante. O come il busto dell'accigliato Lucio Calpurnio Pisone, del tardo I secolo a.C., che arriva da Napoli, o lo splendido Apoxyómenos di Efeso, portato a Palazzo Strozzi dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, l'atleta che si deterge il sudore, alto due metri e cinque, che quando fu ritrovato era spezzato in 234 pezzi. Alla fine dell'età classica gli scultori greci avevano raggiunto un'abilità senza precedenti nell'imitare la forma del corpo, poi gli artisti ellenistici furono i primi a spingere ai limiti gli effetti drammatici dei capelli disordinati, dello sforzo fisico, delle smorfie a denti stretti. Anche la sofferenza non conosce età.

Celebrazione del potere e galleria delle espressività, la mostra di Palazzo Strozzi racconta storie di capolavori assoluti: la figura maschile del IV secolo acefala della primissima età ellenistica che esce da Atene per la prima volta. Storie di ritrovamenti fortunosi: il busto di un uomo bellissimo, con i riccioli e i basettoni, scoperto per caso, nel 1992, nelle acque al largo di Brindisi da un allora Tenente colonnello dei carabinieri, che oggi è Generale di Divisione ed è stato invitato a rivedere la “sua” statua, e che quando l'hanno chiamato si è commosso lui e si è commossa la direttrice scientifica. E storie di restauri d'avanguardia: come la grande testa di cavallo detta “Medici Riccardi” prestata dal Museo archeologico di Firenze dove tornerà, alla fine del tour transcontinentale della mostra, perfettamente ripulito. Un “regalo” consueto, a ogni esposizione, di Palazzo Strozzi – 8 anni di attività, 18 mostre alle spalle, un futuro in crescita, esempio perfetto di partnership tra pubblico e privati, dove i finanziamenti dei secondi hanno ormai superato quelli del primo, che ormai rappresentano meno del 30% del totale, un caso unico in Italia, e infatti dovrebbe essere un modello nella gestione dei beni culturali. «Il problema da noi – spiega il presidente della Fondazione, Lorenzo Bini Smaghi – è una diffidenza dura a morire tra pubblico e privato, favorita dalla mancanza di rendicontazione e di responsabilità. Invece di mettere in comune le risorse e le capacità di ciascuno, prevalgono considerazioni corporative che portano all'impoverimento dei nostri siti culturali. Esattamente l'opposto di quello che avviene in altri Paesi, e di ciò che ci vorrebbe in Italia».

Intanto, l'Italia, ha questa esposizione senza precedenti nel mostrare la potenza e il pathos raggiunto dalla civiltà greca, quando l'arte era ai suoi apici, e che poi divenne la lezione consegnata al mondo. Il nostro.

E noi, uscendo dalla mostra, ripassiamo dalla prima sala, che si apre con una base di statua in calcare del III secolo a.C., ritrovata a Corinto. Sopra non c'è nulla.

Ma porta incisa la firma di Lisippo, tra i più grandi scultori dell'antichità. A lui gli storici dell'arte attribuiscono millecinquecento statue. Non ne è rimasta neppure una. Ecco cosa ci dice la mostra. Non quello che abbiamo. Ma quello che ci siamo persi.

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