di Luigi Mascheroni
Quando arte e politica s'incontrano a volte nascono capolavori. Molto più spesso porcherie. Se poi in mezzo ci si infila il culturalmente corretto, sono disastri. A Londra, la regista Phyllida Lloyd porta in scena al Donmar Warehouse di Covent Garden un Giulio Cesare recitato da sole donne, rileggendo la tragedia di Shakespeare in chiave femminista contro il potere maschile/maschilista/machista. Per dire che nel mondo del teatro, e nel mondo in generale, non c'è parità dei sessi... A Milano, alla Scala, due giorni fa ha debuttato il balletto Romeo et Jiliette in cui la coreografa Sasha Waltz ha scelto di sovrapporre alle due famiglie veronesi in lotta, i Montecchi e i Capuleti, il conflitto fra israeliani e palestinesi, in una sorta di secondo livello di lettura in chiave contemporanea. Per dire che occorre abbattere tutti i muri, sedare gli antagonismi, pacificare ogni contrapposizione... E invece, appena il regista Quentin Tarantino ha voluto sfidare i dogmi del politically correct, a Hollywood particolarmente asfissiante, affogando in una piccante salsa pulp il tabù dello schiavismo, i neopuritani hanno stroncato preventivamente il suo Django Unchained. Il regista («afroamericano») Spike Lee ha già detto che non vedrà il film, pieno zeppo dell'insulto nigger, perché mancherebbe di rispetto ai propri antenati. Poco importa che Tarantino abbia spiegato che nel Mississippi del 1858 il temine nigger era usatissimo, chiedendosi: «Dovevo forse far parlare i personaggi in un modo diverso da quello di quei tempi?».
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