Le Fondazioni liriche? Meglio liquidarle il commento 2

di Filippo Cavazzoni

Lo schema è sempre il medesimo: voragini nei bilanci, nuovi management, piani di risanamento, scioperi, minacce di messa in liquidazione delle fondazioni liriche. Dopo le minacce, però, non si passa mai ai fatti. A finire sotto i riflettori è ora il Teatro dell'Opera di Roma. I conti non tornano, la fondazione ha afferrato il salvagente gettato dall'ex ministro Bray, i sindacati sono in agitazione e il sindaco Ignazio Marino paventa il rischio del «tutti a casa». Il motivo del contendere fra amministratori e lavoratori sta proprio nell'adesione del Teatro al piano di salvataggio. E la “prima” della Manon Lescaut di Puccini diretta da Riccardo Muti è in forse. Con la «legge Bray» lo Stato si impegna a garantire finanziamenti aggiuntivi a patto che la fondazione sia disposta a intervenire sulle proprie voci di bilancio. L'obiettivo è arrivare a un equilibrio finanziario (e a un attivo patrimoniale) nell'arco di tre anni. Per giungere a tale risultato si deve procedere con le misure tanto osteggiate dai sindacati: tagli al personale tecnico e amministrativo, una razionalizzazione di quello artistico e l'azzeramento dei contratti integrativi. Si tratta dell'ennesimo intervento pubblico per ridare fiato a fondazioni liriche agonizzanti. Vista la paralisi che si sta determinando a Roma, è lecito dubitare che questa volta le cose funzioneranno. Già qualche mese fa il rischio di messa in liquidazione di un ente lirico era stato prospettato dal commissario del Maggio Musicale Fiorentino. Pure in quella occasione, dalle parole non si passò ai fatti. Ma se allora ci si doveva affidare al potere discrezionale di un commissario, oggi esistono degli automatismi: beneficiare delle «anticipazioni finanziarie» previste dalla «legge Bray» senza rispettare alcuni obblighi, può portare alla liquidazione coatta amministrativa della fondazione.

Questa conclusione avrebbe una sua utilità, per due motivi: da una parte se si è al cospetto di una gestione inadeguata occorre prevedere anche il momento della sanzione; dall'altra bisogna porre fine al potere ricattatorio dei veri padroni delle fondazioni: i sindacati. Nulla poi vieta che possa rinascere una nuova fondazione, ma più snella, economicamente sostenibile.

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