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Francesco Baracca: un secolo fa atterrò il cavaliere dei cieli

Il 19 giugno del 1918 moriva il più grande asso dell’aviazione italiana, la sua leggenda ad un secolo di distanza non è mai tramontata

Francesco Baracca: un secolo fa atterrò il cavaliere dei cieli

“Il valoroso Maggiore Baracca, che aveva raggiunto la sua 34° vittoria aerea, il giorno 19 corrente non ha fatto ritorno da un eroico volo di guerra”. Bollettino di guerra n. 1123 del 21 giugno 1918. Il comandante della 91esima squadriglia, passata alla storia come la “Squadriglia degli Assi”, aveva solcato i cieli di tutti i fronti italiani: dal Piave all’Istria, prima di incontrare la morte sul Montello durante la Battaglia del Solstizio. Ad un secolo di distanza il suo mito è più vivo che mai e il suo stemma è intrinsecamente legato all’eccellenza italiana. In molti comuni italiani si terranno solenni celebrazioni, in particolare nel suo paese natio, Lugo, la sera del 18 giugno si svolgerà il concerto della banda musicale dell’Aeronautica Militare.

La 91° squadriglia, nata nel 1917 e ancora oggi in attività, contraddistinta dall’effige di un grifone ha da sempre annoverato nelle sue fila i più grandi assi dell’aeronautica; durante il primo conflitto mondiale di fianco al cavallino rampante del comandante Francesco Baracca si alzarono in volo anche i tenenti: Fulco Ruffo di Calabria, con il suo teschio nero, e Ferruccio Ranza, il sottotenente Luigi Olivari e il sergente Goffredo Gorini, ognuno con il suo stemma a testimonianza di almeno cinque apparecchi nemici abbattuti. I velivoli impiegati furono i famosi Spad, caccia biplano monoposto che si dimostrarono più veloci dei Fokker e degli Sopwith Camel ma meno maneggevoli e molto inclini allo stallo, tanto che per portarli al limite era necessario disporre dei migliori piloti.

Le gesta e il coraggio di Francesco Baracca erano noti a tutti gli italiani. Il suo emblema e la sua fama erano il terrore dei nemici. L’eroe rinascimentale che incarnava, infiammava i cuori di una nazione provata dal più grande cimento, la sua morte improvvisa (ancora oggi dibattuta) non poteva essere dipesa da un combattimento aereo. Nessun aviatore avrebbe potuto fregiarsi di aver abbattuto l’asso della Regia Aeronautica. In gioco c’era molto più dell’onore, c’era il destino di una nazione. Baracca venne colpito a tradimento da un fuciliere austriaco appostato su un campanile e mentre precipitava non hai mai smesso di mitragliare, con la sua fedele “Senza perdono”, gli aerei nemici. Un sol colpo gli fu fatale e nessuno poteva rivendicarlo. L’eroe era caduto da eroe. Tutto la nazione si strinse davanti al feretro del cavaliere dell’aria con l’elogio funebre che fu pronunciato da Gabriele D’Annunzio.

Al giorno d’oggi la leggenda di Baracca rivive più che mai nel suo stemma: il cavallino rampante, le cui origini sono avvolte da un mistero. Per alcuni deriverebbe dal cavallino rampante dello Squadrone del Reggimento “Piemonte Reale”, dove prestò servizio prima di scegliere l'aviazione, e cha da rosso sia diventato nero a seguito della sua morte; mentre per altri, tra cui Ferry Porsche, dalla giumenta di Stoccarda raffigurata sul quinto velivolo abbattuto e che, per il profondo rispetto nutrito per gli avversari, sia stata adottata come simbolo. Quello che invece è certo è che quel cavallino rampante fu in seguito donato dai conti Baracca al giovane pilota Enzo Ferrari che, modificandolo e cambiando lo sfondo, lo adottò per la sua scuderia.

Tuttora quell’emblema svetta sia sui moderni caccia dell’Aeronautica Militare che sulle prestigiose vetture della Ferrari.

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