Esattamente settant'anni fa, il 9 febbraio 1945, Aleksandr Solzenicyn fu arrestato per aver criticato Stalin in una lettera a un amico e condannato a otto anni nei campi di lavoro (un inferno da cui nasce Una giornata di Ivan Denisovic , che riuscirà a pubblicare in una breve fase di disgelo nel '62). Poi finì al confino, dove scrisse il suo capolavoro, Arcipelago Gulag , una non-fiction novel (all'epoca si diceva «inchiesta narrativa») che sulla base di testimonianze dirette e dell'esperienza personale dell'autore svela la dittatura comunista nell'Unione sovietica e il terrificante utilizzo della giustizia politica e del sistema Gulag. E infine, a metà degli anni Settanta (dopo il Nobel, ricevuto nel 1970 ma che lo scrittore non potè ritirare) fu costretto all'esilio, prima in Germania Ovest, poi negli Stati Uniti, dove rimase sino al 1994. Quando, crollata l'Unione sovietica, potè tornare nella sua Russia per morirvi nel 2008.
Concepito già nella seconda parte degli anni Cinquanta e scritto di nascosto nei Sessanta, Arcipelago Gulag - dopo un'epopea degna di una spy story fra interrogatori del Kgb alla segretaria di Solzenicyn per sapere dove era nascosto il manoscritto e microfilm fatti passare di nascosto in Francia - fu pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1973. E se il debito dello scrittore con la Verità finiva in quel momento, in quel momento iniziava la storia della fortuna, e spesso sfortuna, dell'opera.
Mentre oggi Arcipelago Gulag è tradotto e letto in tutto il mondo, nell'Occidente libero ma ideologico degli anni Settanta fu quasi rifiutato, come qualcosa che non si vuole sentire, che infastidisce. Con l'eccezione della Francia, però. Dove l'apparire del libro-denuncia causò un terremoto culturale. La gauche , da Jean-Paul Sartre a Louis Aragon a Romain Rolland, subì un trauma devastante, la cui eco arriva fino a oggi: nel suo nuovo L'identità infelice (Guanda) Alain Finkielkraut ricorda che «Nel '68 ci chiamavamo con orgoglio compagni, ma voleva dire soltanto (ormai lo sapevamo) che eravamo cittadini e non sudditi come un tempo, né sospetti come altrove. La lettura di Arcipelago Gulag ci insegnò quanto l'enormità del crimine fosse connessa all'ideologia, e questa rivelazione guarì molti di noi dall'arroganza intellettuale». Arroganza che rimase alla sinistra radical-chic in America, ad esempio. Così lasciò scritto Tom Wolfe in un pezzo del 1976 intitolato significativamente Incolpare il messaggero : «Gli intellettuali d'Europa e d'America erano pronti a perdonare a Solgenitzin molte cose (...) ma per quel suo insistere che tutti gli ismi portavano ai campi di sterminio - per questo non era probabile che fosse presto perdonato. E infatti la campagna di antisepsi ebbe inizio poco dopo la sua espulsione dal'Urss nel '74 (Ha sofferto troppo: un fissato, È uno zelota cristiano affetto dal complesso di Cristo. È un reazionario agrario. È un egotista e un rigattiere della pubblicità). Il giro statunitense di Solgenitzin nel '75 fu come un immenso corteo funebre che nessuno aveva voglia di vedere». Neanche da noi.
Anzi, l' intellighenzia italiana fu la peggiore di tutte. La colpa non era di chi aveva ideato l'orrore del sistema Gulag, ma del messaggero che lo aveva descritto. Il grido di Solzenicyn rimase inascoltato. Uscito in sordina da Mondadori nel '74, il libro ebbe scarse recensioni sui giornali e l'autore fu o ignorato o additato a nemico della causa proletaria... Il 20 febbraio 1974, pochi giorni dopo l'espulsione di Solzenicyn dall'Urss, Giorgio Napolitano, alto dirigente del Pci, scrive sull' Unità , e poi su Rinascita , un lungo articolo in cui definisce «aberranti» i giudizi politici del dissidente russo e approva la decisione del Cremlino di esiliarlo, di fatto riconoscendo la fondatezza delle accuse.
Il Pcus invitò i «partiti fratelli», cioè quelli che finanziava, a seguire la «linea». E il Pci, retto in quel momento da Enrico Berlinguer, non aveva né forza né voglia di opporsi.
Così la «versione» di Napolitano sul caso Solgenicyn divenne la versione dell'intero Partito e dell' intellighenzia . Per lungo tempo. Un padre della Sinistra come Vittorio Foa, novantenne, ammise di non aver mai avuto il coraggio di leggere l' Arcipelago . Un mea culpa che in molti non hanno mai fatto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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