Di gialli se ne pubblicano a centinaia, ma è raro che si affranchino dal loro genere per raggiungere il piano della letteratura, o almeno della riflessione morale profonda. È il caso di I giorni in fila di Andrea Garbarino (Edizioni La linea, pagg. 268, euro 14). Ambientato in una Liguria livida che galleggia su un passato a tratti eroico, a tratti abominevole, racconta il tentativo di una donna di penetrare nella biografia del padre, un venditore ambulante di corsetti fuggito nella vicina Francia negli anni '70, dopo essersi separato dalla moglie.
Studentessa di medicina fuori corso, amante a tempo perso del suo professore di anatomia, fumatrice irredenta di sigarette MS dalle quali, per giunta, ha l'abitudine di staccare il filtro prima di accenderle, Sandra Roccavento è un personaggio memorabile che l'autore piazza di traverso sulla pagina senza concedere il minimo tributo al perbenismo dei lettori. È il suo atteggiamento indomito e antiretorico a far uscire il romanzo dal mucchio: il fastidio di Sandra verso gli obblighi - lei direbbe: i ricatti - sociali è palpabile e travolge, per cominciare, la pietà filiale: la madre della protagonista, figlia di un sarto militare che alla fine della Seconda guerra mondiale si è arricchito vendendo documenti agli ebrei, è ritratta con una irrispettosità che rasenta il matricidio. E un trattamento persino più rude viene riservato agli uomini che hanno la ventura di ronzare attorno al suo corpo androgino, specchio di una personalità allergica ad ogni forma di passività. «Noi siamo quello che permettiamo agli altri di farci» ama ripetere Sandra con una frase dalla sintassi un po' tortuosa, ma dal cristallino significato.
L'avvio del romanzo è dei più classici: una lettera anonima. «Medicina per la memoria», recita il biglietto.
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