Cultura e Spettacoli

I conservatori italiani non hanno mai avuto un partito. Ecco perché

C'è da chiedersi come mai la parola "conservatore" equivalga a un insulto e non sia mai stata utilizzata per identificare un partito di massa. Una prima risposta, secondo alcuni storici, si trova nella natura del Risorgimento

I conservatori italiani non hanno mai avuto un partito. Ecco perché

Il primo Partito conservatore italiano durò un pomeriggio. Era in corso la Seconda guerra mondiale. A Firenze, in clandestinità per sfuggire alle leggi razziali, c'erano gli scrittori Giorgio Bassani e Carlo Levi. Frequentavano, assieme a Manlio Cancogni, la casa di Antonio Delfini, l'autore del Ricordo della Basca. Questo gruppo di letterati, per passare il tempo, inventava strofette satiriche indirizzate ai propri nemici. Un giorno del 1943, racconta Cancogni, Antonio Delfini e Carlo Levi unirono le forze e fondarono il PaCon: partito conservatore. Bassani e Cancogni rimasero perplessi di fronte al programma del PaCon. Fondarono dunque il Perplex Party che lottava per diffondere un po' di sano scetticismo dopo anni di valori assoluti. Ascoltato il programma rivale, Delfini e Levi sciolsero immediatamente il PaCon per aderire al Perplex Party. A Delfini rimase il rovello. Nel 1951 pubblicò, un po' per scherzo e un po' sul serio, il Manifesto per un partito comunista e conservatore in Italia.

Conservatorismo nelle campagne, comunismo (o meglio corporativismo) nelle industrie. Il Manifesto piacque a Pier Paolo Pasolini, che in effetti si potrebbe definire comunista e conservatore. Al di là degli aneddoti, c'è da chiedersi come mai la parola «conservatore» equivalga a un insulto e non sia mai stata utilizzata per identificare un partito di massa. Una prima risposta, secondo alcuni storici, si trova nella natura del Risorgimento, una realtà in debito con la Rivoluzione francese. L'Italia era da fare non da conservare. Di conseguenza i partiti si dividevano in riformisti e progressisti. Nel Novecento, dopo la Seconda guerra mondiale, la propaganda comunista ha ottenuto una vittoria schiacciante. È riuscita a far credere che l'antifascismo si esaurisse nel comunismo e che bastasse dirsi antifascisti per far parte della famiglia democratica. Invece l'antifascismo includeva azionisti, liberali, monarchici e cattolici. Inoltre, per far parte della famiglia democratica, è necessario essere sia antifascisti sia anticomunisti.

La propaganda è anche riuscita a far credere che la cultura coincidesse con la cultura comunista, una vera e propria idiozia. «Conservatore» poteva solo essere sinonimo di ignorante, bigotto, retrivo. La «maledizione» toccò anche i grandi scrittori «conservatori» rimossi dal canone delle letture indispensabili per dirsi colti. Il Partito comunista operò questa rimozione con lucidità dopo aver letto i conservatori e conoscendone la forza.

Oggi invece lo scrittore medio, erede di quella cultura sbianchettata, è di una ignoranza tale da credersi colto senza aver letto una riga di Chateaubriand, che scambia regolarmente per una bistecca.

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