Cultura e Spettacoli

"Inseguo insetti per sapere tutto di qualche cosa"

L'entomologo autore di "L'arte di collezionare mosche" è un filosofo: "La conoscenza serve a non impazzire"

Fredrik Sjöberg sull'isola Runmaro, in Svezia
Fredrik Sjöberg sull'isola Runmaro, in Svezia

«Prima di iniziare il libro mi sono ricordato che qualcuno mi aveva detto: scrivi di quello che sai». Fredrik Sjöberg sa di mosche. «Certo, nessuno si interessa di mosche». Eppure L'arte di collezionare mosche è stato un successo nella sua Svezia, in Germania e in Gran Bretagna. È stato tradotto in 23 Paesi e in Italia è pubblicato da Iperborea (pagg. 224, euro 16, traduzione di Fulvio Ferrari). Entomologo-giornalista-scrittore, Sjöberg vive da trent'anni a Runmarö, isoletta di quindici miglia quadrate al largo di Stoccolma. Lì va a caccia di mosche. Lì ha cresciuto i suoi tre figli con la moglie Johanna («rilega libri, ha cominciato anche lei sull'isola»).

Come ha iniziato a collezionare mosche?

«Già da bambino collezionavo farfalle, maggiolini, api. Poi intorno ai quindici anni ho smesso, perché ho capito che era difficile conquistare le ragazze con degli insetti morti».

E quando ha ripreso?

«A metà degli anni Novanta. Volevo essere esperto di qualcosa che gli altri non conoscessero troppo: così ho iniziato a cacciare mosche e l'ho trovato subito molto piacevole».

Che cosa c'è di piacevole?

«Sei da solo, è molto eccitante perché non sai quello che troverai, serve la massima concentrazione e ti dimentichi di tutto il resto».

Prima che cosa faceva?

«A 12 anni tutti erano convinti che sarei diventato un biologo. E ho studiato per farlo, ma mi sono stufato subito. Ho lavorato al Teatro Reale di Stoccolma, ma il mio sogno non era fare l'attore, bensì lo scrittore».

Quando ha deciso?

«A 25 anni. Così mi sono trasferito sull'isola e ho iniziato a tradurre libri e scrivere per riviste e giornali. Potevo permettermelo, perché vivere qui non è caro: è uno dei motivi per cui Johanna e io ci siamo trasferiti».

Che cosa ha di particolare la sua isola?

«Puoi vivere nella natura, ma non sei troppo lontano da Stoccolma. È stato amore a prima vista, anche se per dieci anni siamo stati senza acqua corrente, con tre bambini. Eravamo giovani e stupidi...».

E le mosche che cosa c'entrano?

«Io colleziono un tipo particolare di mosche, i sirfidi: ne esistono circa 350 specie e oltre duecento si trovano proprio sulla mia isola. Ho scoperto che è uno dei luoghi più ricchi per varietà di insetti, un fatto che stupisce molti entomologi nel mondo».

Ma perché ha scelto questa specie particolare?

«Le mosche sono migliaia, avevo bisogno di una delimitazione, altrimenti sarei diventato pazzo. Del resto il mio è un libro sui limiti. Comunque molti conoscono i sirfidi, perché sono simili alle vespe. Sono molto belle».

Molto belle?

«Sì, molte sì. Lo so, è difficile che facciano questa impressione alle donne. E poi molte specie sono rare, e gli uomini amano collezionare cose rare».

Come funziona la vita dell'entomologo?

«Per sette anni, ogni anno, durante la primavera e l'estate uscivo con il mio retino o la trappola e iniziavo a cacciare mosche. Un gran divertimento. Poi, dopo che ho scritto il libro, ho quasi smesso di collezionarle, perché ormai avevo raccolto quasi tutte le specie dell'isola».

Non colleziona più mosche?

«Quest'estate ne ho prese solo due. Prima ne catturavo a centinaia. Comunque ho una collezione di tutto rispetto, è stata anche esposta alla Biennale di Venezia nel 2009, come opera d'arte. Preciso che non è stata una mia idea».

E qualcuno l'ha comprata?

«Purtroppo no. Spero che finisca in un museo di storia naturale».

Quante mosche ha?

«Non le ho contate... qualche migliaio, conservate in nove mobiletti piuttosto larghi. A Venezia erano esposte in tre grosse cornici: sa, le mosche sono piccole».

E quante specie ha raccolto?

«Duecentodieci, tutte sull'isola. Non vado mai a caccia sulla terraferma, solo qui. Il mio giardino è il mio intero mondo. Volevo essere l'esperto di qualcosa, e ora sono l'esperto mondiale delle mosche di quest'isola. Credo sia un bisogno comune, del resto».

Essere esperti di qualcosa?

«Tutti abbiamo bisogno di qualcosa di cui conosciamo quasi tutto. Per questo i limiti sono necessari: ci servono per non impazzire. Ed è anche uno dei motivi per cui amo tanto le isole».

Ama le isole, colleziona mosche, ma dal suo libro si capisce che non è ambientalista.

«Da giovane sono cresciuto nel movimento verde, ma ora ho le mie idee, per esempio sul paesaggio: credo che lo si possa sfruttare e, allo stesso tempo, si possano mantenere la sua bellezza e il suo ecosistema. Come sulla mia isola, che migliora di anno in anno».

Per gli ambientalisti non va bene?

«Per carità. E sono ottimista sulla sorte del mondo. Questo, per i miei vecchi amici, è da veri idioti».

Che cos'è il collezionismo?

«Qualcosa di rilassante e insieme elettrizzante. Per me la passione fondamentale è la caccia, un impulso del cervello umano dai tempi della savana. Per molti è folle, ma io credo che, in realtà, sia un modo per non soccombere alla follia. E poi gli insetti sono gratis».

Non è un'ossessione?

«La vita è tragica, ci serve qualcosa che ci faccia dimenticare tutto il resto e stare bene. Un'ossessione, di qualunque tipo, è qualcosa di buono. È come il calcio per la maggior parte degli italiani: vanno allo stadio, urlano come scimmie, non pensano a niente per qualche ora e poi, quando tornano a casa, sono rigenerati. Felici».

Dovremmo tutti collezionare mosche?

«Tutti siamo collezionisti di mosche nel nostro intimo, purtroppo molti non l'hanno ancora capito. Ma l'importante non è la collezione: è la caccia che conta».

Come spiega il successo del libro?

«Sono sorpreso. Non è che le persone siano all'improvviso interessate alle mosche. Forse molti si riconoscono nel libro, per esempio quando racconto di René Malaise, questo entomologo che ha inventato una trappola con cui si possono catturare centinaia di mosche. Che poi è una storia sul difficile mestiere di vivere».

È un darwinista?

«Un vero darwinista. Non sono religioso. Credo che quasi tutto possa essere spiegato dalla scienza».

Di che cosa ha bisogno un entomologo?

«Di tempo. Per aspettare. Come uno scrittore, che deve avere l'abilità di aspettare la storia giusta, così l'entomologo deve saper attendere l'insetto raro. E poi la capacità di stare da solo con se stesso, come quando scrivi.

Poi le mosche sono tutte lì, intorno».

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