Fra il 2012 da poco conclusosi e il 2013 che ne ha preso il posto, la Francia letteraria si industria a festeggiare un duplice anniversario che riunisce nel nome della giovinezza il suo Novecento romanzesco. I cent'anni dall'uscita di Le Grand Meaulnes, di Alain-Fournier, si intrecciano con i cinquant'anni della morte di Roger Nimier, e troppe sono le coincidenze che ruotano intorno a questi due nomi per poter pensare a un semplice caso.
Alain-Fournier morì combattendo, appena ventottenne, all'inizio della Grande guerra, Nimier ne aveva trentasette quando, nel 1962, perse la vita in un incidente d'auto e, ciascuno a proprio modo, entrambi avevano sino a quel momento incarnato nei loro libri l'avventura nel nome dell'adolescenza. La sorella del primo aveva sposato Jacques Rivière, ovvero il fondatore della Nouvelle Revue Française, sinonimo in Francia di Gallimard, vale a dire la casa editrice per eccellenza; Nimier fece di Gallimard la sua seconda abitazione, ideò collane, lanciò nuovi scrittori, riportò alla ribalta vecchie glorie (Céline fu il caso più clamoroso).
Nazionalista e cattolico, Alain-Fournier non fece a tempo a vedere la carneficina delle trincee e morì convinto della grandezza della Francia; nazionalista e cattolico, il secondo aveva quindici anni quando vide i tedeschi entrare vittoriosi a Parigi e per i successivi ventidue che visse si portò dietro la vergogna di una sconfitta e insieme la consapevolezza di una decadenza nazionale non più riparabile. Precoci talenti letterari, rimasero gli autori in fondo di un unico libro, Le Grand Meaulnes, appunto, e Le Hussard bleu, e se Nimier esordì che non aveva ancora compiuto i 25 anni, dai ventotto e sino alla morte si inabissò in un silenzio narrativo di cui D'Artagnan amoureux, pubblicato postumo, è ciò che resta.
Di qui ai prossimi mesi, l'anniversario di Alain-Fournier vedrà soprattutto convegni accademici, riedizioni critiche, pellegrinaggi culturali e gite scolastiche sui luoghi della sua infanzia poeticamente trasposti nel romanzo, sull'onda dell'appena uscito Le Frémissement de la grâce di Jean-Christian Petitfils (Fayard, pagg. 261, euro 19) che è sia biografia critica, sia esplorazione di un paesaggio geografico e sentimentale. Le Grand Meaulnes è un classico e la morte eroica e insieme misteriosa del suo autore (solo nel 1991 ne è stato ritrovato il corpo, seppellito dai tedeschi in una fossa comune insieme con altri venti commilitoni), dà a quest'ultimo quelle dimensioni mitiche tanto care alla grandeur transalpina.
L'anniversario di Nimier ha visto e vede invece un sentimento più complicato: i Cahiers de l'Herne, sotto la direzione di Marc Dambre, gli hanno dedicato un bel numero monografico ricco di illustrazioni, testimonianze e documenti (Nimier, pagg. 383, euro 39); la Table Ronde, che lui fondò, ha ripubblicato, con una nuova postfazione, quel Roger Nimier Trafiquant d'insolence (pagg. 170, euro 9,10) che nel 1989 valse al suo autore, Olivier Frébourg, il premio Deux Magots; le edizioni Pierre Guillaume de Roux un Roger Nimier et l'esprit hussard (pagg. 248, euro 27,50), tentativo di storicizzare la polemica che, più di mezzo secolo fa, vide Nimier appunto, e con lui Antoine Blondin e Jacques Laurent sottoposti al fuoco di sbarramento di Sartre e compagni nel nome dell'antifascismo.
«Ussaro», «spirito ussaro», eccetera, fu allora l'etichetta sotto la quale il dogmatismo dell'impegno, dello scrittore impegnato, dell'intellettuale cinghia di trasmissione del Partito comunista francese vedeva il riaffiorare del fascismo in letteratura, la disinvoltura e lo stile, il gusto del racconto e lo spirito d'avventura, il lato dandistico e insieme l'aristocrazia dei sentimenti e delle frequentazioni, in una parola tutto ciò che non rientrava sotto il mantello rosso dei manifesti, delle liste di proscrizione, del sostegno alle lotte operaie e alla causa del Grande Partito fratello, il Pcus staliniano custode della pace e insieme della rivoluzione... Sessant'anni dopo, insomma, resta intorno a Nimier un'etichetta, tanto più ridicola se si tiene conto che il tempo ha trasformato in spazzatura ideologica proprio ciò che i suoi avversari sventolavano come nuovo, progressista, al passo con la storia.
Nel diverso modo con cui Alain-Fournier e Nimier vengono oggi ricordati, c'è in fondo il ritratto paradossale di una certa Francia delle lettere che è anche una Francia politica. Il primo, lo abbiamo accennato, fa ancora parte di un sentimento nazionale vittorioso, per il quale destra e sinistra, Barrès e Peguy, erano pronti a sacrificarsi. Il secondo appartiene invece a una Francia sconfitta di cui però né la destra né la sinistra vogliono assumersi il peso, gollisti e comunisti impegnati a delegittimarsi, ciascuno in nome di una propria, risibile vittoria. Nimier era troppo intelligente per non accorgersi che invece era finito un mondo e Le Hussard bleu, come del resto Les Epées, tracciano un bilancio, militare e morale, agghiacciante nel suo insieme di violenza, incompetenza, cinismo, tradimento.
Ciò che restava fuori era una certa Francia ideale, seicentesca nello stile e nei suoi protagonisti storici, la Fronda, i moschettieri del Re, Richelieu e Mazarino, modello comportamentale a cui rifarsi, sfrontato nella sua guasconeria, ferocemente individualista nel non voler permettere a nessuno di parlare in suo nome.
«La storia della Francia è talmente particolare che il suo eroe più celebre si chiama Giovanna d'Arco e la sua eroina D'Artagnan.
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