Unimmagine di qualche giorno fa esemplifica la situazione più di molte parole: un operaio, dalla tipica piazza allestita da Michele Santoro riunendo lavoratori allo stremo e indignati di varia provenienza, inveisce contro politici e giornalisti, unendo nella condanna quanti si trovano in studio e il conduttore stesso. La distanza fisica tra il salotto tv e la società del disagio incarna una frattura tra élite e società che pare attraversare lintero Occidente.
A dispetto della retorica democratica, tensioni tra leadership e popolo si trovano ovunque. Tra le glorie delle scienze sociali italiane cè proprio quella scuola elitista, da Gaetano Mosca a Vilfredo Pareto, che ha insegnato come in ogni contesto vi sia un piccolo numero di governanti che ha la meglio sulla grande massa dei governati. Il tema è alla base del volume di Angelo M. Codevilla Classe dominante (Grantorino, pagg. 130, euro 20) che prende lavvio con un tono di forte denuncia, ma alla fine non esclude una possibile via duscita. La tesi è che da parecchi decenni gli Stati Uniti siano nelle mani di una minoranza (progressista, laica, innamorata delle soluzioni interventiste e dirigiste) estranea ai valori della maggior parte degli americani: unoligarchia che forse interpreta molti elettori democratici, ma è ostile alle radici del Paese. Codevilla è un conservatore, ma - al di là delle origini italiane - un conservatore americano. Sa bene come i pilastri istituzionali di quel mondo (la Costituzione e ancor più la Dichiarazione dIndipendenza) non siano un mix di giacobinismo e socialismo, ma rinviino a una concezione rigorosa della libertà del singolo, della proprietà privata, dellautonomia negoziale. Entro un quadro definito dai valori cristiani.
È a questo, dice lautore, che la nuova classe dirigente soppone. Ma egli sottolinea pure come lontano dai centri monopolizzati dallélite - Washington, Wall Street, Hollywood - negli ultimi anni lAmerica abbia visto crescere un movimento determinato a non perdere la propria identità. Se ai vertici cè una casta chiusa che si riproduce, schierata a difesa di una logica che rigetta il merito e minaccia le tradizioni, una realtà con forti tratti libertari e conservatori quale è il Tea Party sembra determinata a proteggere lo spirito Usa e lindipendenza del singolo. Contro la classe dominante cè la resistenza di quella che Codevilla chiama la country class.
Se in America la sconnessione tra le parti della società è forte ma vi è comunque una reazione del popolo (anche grazie a istituzioni che favoriscono un qualche contenimento del potere), ben più disastrata è la situazione dellItalia. Alle nostre latitudini la country class non esiste, poiché non cè più un vero radicamento: qualcosa che possa frenare quanti pretendono di plasmare a loro piacere la società, come fosse semplice argilla. Il nostro è un Paese di tradizioni cattoliche, ma dove (anche a seguito della statizzazione delle scuole) il cristianesimo è più nel passato che nel presente. Né abbiamo miti che valorizzino la libertà della persona. Siamo un Paese unificato con la forza, tardi e male, a tal punto «rieducato» da guardare con orrore al proprio passato più nobile: la civiltà comunale tra Medioevo e Rinascimento.
Quindi le élite non hanno oppositori, né cè allorizzonte una forza paragonabile ai tea-partisti doltre Oceano. Tutto questo mentre ogni spezzone della classe dirigente è delegittimata: politici, imprenditori, funzionari pubblici, professori universitari, uomini di Chiesa, professionisti della comunicazione. Questa spaccatura sociale è anche al centro di un pamphlet firmato da Gabrio Casati, pseudonimo che cela un gruppo di autori: Luigini contro contadini (Guerini, pagg. 159, euro 16,50). Il titolo riprende celebri immagini di Primo Levi legate alla Lucania, ma sovrappone la vecchia lotta di classe con le nuove tensioni territoriali tra Nord e Sud.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.