
Il referendum fa saltare i nervi alla sinistra. Accuse, spaccature interne e campagne improbabili stanno segnando il percorso di avvicinamento all'8-9 giugno, giorni in cui su cinque quesiti (quattro sul lavoro, uno sulla cittadinanza) si apriranno i seggi, col forte rischio di restare praticamente deserti.
Un ennesimo fallimento delle consultazioni è uno scenario probabile quindi Pd e alleati non sanno più dove sbattere la testa. Il presidente di «+Europa» Matteo Hallissey - giovane radicale forse ignaro della storia pannelliana - ha annunciato di aver depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma (insieme al gruppo «Boicotterai») per le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa, che si è detto favorevole all'astensione. Proprio da «+Europa» fanno notare che l'iniziativa è a titolo personale, perché il caso non ha portata giudiziaria. E nel mondo radicale un atteggiamento censorio sull'opzione del non voto viene vissuto con malcelato imbarazzo, visto che i Radicali - referendari per antonomasia - l'arma dell'astensione l'hanno sempre presa in considerazione come legittima o addirittura utilizzata, e non solo alle Politiche con lo «sciopero del voto» ma anche ai referendum, per esempio sulla scala mobile dell'85, quando Marco Pannella fece balenare una strategia: assecondare un'alta astensione per far fallire un quesito che considerava demagogico. Lo sa bene anche Maurizio Turco, a lungo braccio destro di Pannella e oggi segretario del Partito radicale. Turco non a caso ha sconfessato platealmente Riccardo Magi di «Più Europa», presidente del comitato promotore del quesito sulla cittadinanza, che nei giorni scorsi aveva attaccato a testa bassa il vicepremier Antonio Tajani per lo stesso orientamento astensionista di La Russa. E del vicepremier Matteo Salvini («non andrò a votare») e del ministro Francesco Lollobrigida («Molti quesiti sembrano un congresso del Pd»). È il caso del giorno. Ma i sondaggi rilevano un'intenzione di votare molto bassa. Intanto la Cisl ha abbandonato il referendum al suo destino («campagna di assoluta retroguardia») e la Uil è fredda (due sì). La campagna appare ai più come un'iniziativa di parte: non della sinistra, ma di una parte della sinistra, quella che segue Maurizio Landini ed Elly Schlein (nella foto). Una delle clamorose novità che si registrano nel Pd, peraltro, è l'iniziativa dell'area riformista, che prende le distanze dalla mobilitazione targata Cgil e sponsorizzata dalla segretaria. Ieri un documento pubblicato su Repubblica con firme di primo piano (tra le quali gli ex ministri Lorenzo Guerini e Marianna Madia e la vicepresidente dell'Europarlamento Pina Picierno) annuncia che i riformisti dem andranno alle urne ma voteranno solo due quesiti: quello sulla cittadinanza e quello sulle imprese appaltanti. Non voteranno invece gli altri tre, «perché la condizione del lavoro in Italia non passa - dicono «da una sterile resa dei conti con il passato».
Il punto è la difesa dell'esperienza di governo renziana che ha varato il «Jobs Act», «ultimo provvedimento organico sul lavoro varato in Italia».
La Cgil non molla. Lunedì ha convocato una «maratona contro l'astensionismo», con Landini (e Schlein e Giuseppe Conte).
La Rai smonta l'argomento-censura, sottolineando di aver garantito spazi al voto referendario, «pur in un momento complesso» e ricorda di aver previsto 45 confronti tv e altrettanti radiofonici. L'Agcom intanto, con una nota ieri ha richiamato la Rai e i fornitori nazionali di servizi di media audiovisivi e radiofonici affinché garantiscano un'adeguata copertura informativa sui quesiti.