La mostra più stroncata? Un successo

Passate le polemiche, restano i numeri: i visitatori della contestatissima Biennale crescono del 20 per cento rispetto al 2007. All’estero le gallerie scoprono i nostri pittori e scultori: eppure secondo i critici erano scarsi...

La mostra più stroncata? Un successo

di Luca Beatrice*
A poco più di tre mesi dall’inaugurazione, la Biennale d’Arte di Venezia sta facendo registrare un enorme successo di pubblico. Certo, molto del merito va ascritto al buon Daniel Birnbaum e alla sua «Fare Mondi», ma poiché siamo in Italia dove, si sa, la polemica incuriosisce, stimola e aiuta, siamo davvero convinti che il nostro Padiglione nazionale sia stato l’elemento trascinante, grazie al baillame creatosi attorno a me e Beatrice Buscaroli, nominati dal ministro Bondi, curatori non di sinistra e quindi merce rara in un mondo, quello dell’arte, che più conformista non si può.
I dati sono questi: dal 7 giugno alla prima settimana di settembre, il numero di visitatori supera quota 163mila, con picchi settimanali di oltre 17mila. Rispetto all’edizione 2007, quella in cui la presenza italiana venne mortificata a solo due artisti, l’incremento è di circa il 20 per cento. Dubbiosi, scettici, maligni che auspicavano un flop sono dunque serviti e intanto a Venezia gongolano. Ciò dimostra che la critica conta poco, che è il pubblico pagante a decretare o meno il successo di una iniziativa, proprio come accade durante le tornate elettorali. Chi si illude di poter decidere per gli altri, pur essendo minoranza, sarebbe meglio riflettesse prima di parlare. A meno che non siano tutti cretine, quelle centinaia di persone che ci hanno scritto facendoci i complimenti per il nostro lavoro. Gente comune, interessata all’arte, non viziata da pregiudizi ideologici.
Mentre la critica ci ha accusato di aver invitato troppi artisti e di avere riempito lo spazio oltre misura, il pubblico ha gradito proprio l’ampio ventaglio di scelte e il superamento dell’ideologia del «cubo bianco» secondo il quale conta più l’arredamento in stile minimal Ikea che non i lavori esposti. Il museo non è soltanto il tempio della consacrazione e neppure una passerella dove sfila solo l’ultima moda, ma un luogo da cui esca vitalità, pensieri positivi, dove l’arte parli con il visitatore e lui ne sia confortato, non turbato, scioccato, violentato. I critici professionisti sono convinti che l’arte è degna di considerazione solo se non si capisce. Mostre improbabili e oscure come «Manifesta» o la «Triennale di Torino» hanno fatto registrare prevedibili flop, segno che la gente non ne può davvero più di sentirsi presa in giro o sfidata sul piano dell’intelligenza da chi intelligente non lo è affatto. Insomma sta piacendo di più la nostra linea popolare, che tra l’altro riprende la storia della Biennale fino ai primi anni ’90, prima che i curatori la massacrassero ai propri fini di autocelebrazione.
Passata la buriana dell’inaugurazione, esauritosi il primo giro di illuminati pareri, alcuni dei quali davvero volgari, anche la stampa nazionale pare aver cambito rotta. I pregiudizi si sono sciolti e più di uno ha balenato il dubbio che una mostra andrebbe vista serenamente, concentrandosi sulle opere e non sul pensiero politico dei curatori. Le stroncature sono via via scemate, fino a scomparire per lasciare il posto a pareri ben più confortanti, addirittura amichevoli. Comunque il pubblico, indifferente ai sedicenti cronisti d’arte, continua a visitare il Padiglione Italia rilasciando commenti molto positivi. A recitare la parte del cattivo ci si è messa la stampa straniera, o meglio quelle due o tre riviste specializzate il cui parere sembrebbe contare eccome tra gli addetti ai lavori (poche centinaia di persone). Se non hai il loro plauso insomma, non passi. Peccato che su Frieze abbia scritto una giornalista di Repubblica, che invece di raccontare agli inglesi la mostra, si è prodotta in un saggetto di antiberlusconismo militante, parlando delle poesie di Bondi, di una strategia reazionaria sulla povera cultura italiana e amenità del genere. Alla faccia dell’internazionalismo, anche un fulgido esempio di coolness britannica è scivolato sulle cosette di casa nostra. L’americana Artforum, bibbia dell’arte contemporanea, si è limitata a un breve passaggio che recita più o meno cosi: «Un detestabile soprano sax che aleggia dal Padiglione Berlusconi, a dimostrazione di un tentativo indicibile, reazionario e disgustoso al Padiglione Italia». Peccato che quel suono così schifoso sia stato composto da Paolo Conte per l’opera di Valerio Berruti, e non penso proprio che la creatività del Maestro astigiano, stimata in tutto il mondo tranne che dal l’ignorante critico di Artforum, possa essere collegata all’estetica del Presidente del Consiglio.
I gufi e le cornacchie, che non vedevano l’ora di celebrare il funerale dell’arte italiana, oltre a registrarne il successo, si devono arrendere ad altri numeri: in una situazione di crisi i nostri artisti sono tra i pochi ad andare bene. Vendono in galleria e alle fiere, hanno aumentato i prezzi del 15-20 per cento, lavorano e progettano mostre per l’immediato futuro. Primi tra tutti i due «veterani» Sandro Chia e Marco Lodola, giudicati bolliti, vivono grazie alla Biennale una stagione particolarmente felice. Il pittore della Transavanguardia, molto più in forma dei suoi compagni, inaugurerà entro l’anno due personali alla Triennale di Milano e alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma (dopo Twombly, Chia tanto per gradire). Il neofuturista Lodola ha appena firmato un contratto con una galleria multinazionale che lo proporrà a Parigi, Londra, Monaco, Ginevra, quindi New York, Hong Kong e Singapore. Silvio Wolf si prepara a tornare in Italia con una personale a Milano. All’opera anche il duo ceramista Bertozzi & Casoni, impegnato nella preparazione della mostra personale da Sperone Westwater a New York programmata nel febbraio 2010. Anche Aron Demetz ha deciso di «fare l’americano», andrà a vivere almeno tre mesi a Manhattan per respirare l’aria che conta e rinnovare la propria scultura. Lì incontrerà Nicola Verlato, approdato alla scuderia di Jonathan Levine, ovvero la massima autorità mondiale di pop surrealismo e pittura low brow.

Nel frattempo Valerio Berruti ha partecipato a una interessante collettiva di giovani nella Kunstpfad di Linz, in Austria. Alla faccia di chi si augurava indifferenza e disinteresse è proprio questa l’arte che piace e che comincia a contare in casa e oltre confine.
*Curatore del Padiglione Italia alla Biennale d’arte 2009

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