Cultura e Spettacoli

Musa e getta, la storia di 16 donne straordinarie raccontata da 16 scrittrici

Un viaggio nell'universo femminile attraverso il racconto di 16 scrittrici che fanno rivivere altrettante donne indimenticabili ma spesso dimenticate

Musa e getta, la storia di 16 donne straordinarie raccontata da 16 scrittrici

Scappano, svaniscono, riappaiono, corrono, si nascondono e muovono il mondo che ruota intorno a loro. È così che tessono la trama, la raccontano, qualche volta innamorandosi, spesso dicendo un “no” di troppo. Non sempre sono protagoniste, ma una cosa è certa: gli uomini decidono il proprio destino inseguendo i loro passi. È come salire su una giostra, imperfetta, sbilenca, con una traiettoria decisa dal caso e non dagli algoritmi. L’istinto le porta a non stare mai ferme, perché ogni volta che si ritrovano prigioniere, bloccate, passano guai. Sono condannate a non avere quiete, sempre in cerca del posto dove gli sfiniti trovano pace. L’importante è non raggiungerlo mai. Sono sedici donne, sedici archetipi femminili, e raccontano la loro storia con la voce di sedici scrittrici. Le trovi in una antologia che ha già il passo del teatro. Bisogna solo alzare il sipario. Il titolo è Musa e getta (Ponte alle Grazie, euro 18, pagg. 380).

È il progetto culturale di due attrici, due intellettuali, con un cognome che ha segnato la storia del teatro. Si chiamano Arianna Ninchi e Silvia Siravo. Musa e getta è dedicato alle loro madri e nasce da quelle serate di chiacchiere quando devi scaricare la tensione, dopo che le luci del palcoscenico si sono spente e si aspetta domani per ricominciare. Silvia dice che “il teatro è fatto di carne” e per qualcuno è casa: “Sono stata concepita in teatro, ho gattonato dietro le quinte e fatto i compiti nei camerini”. Arianna ha strappato tutte le maschere che la vita ha cercato di metterle sulla faccia e lei, figlia e nipote di commedianti, sa recitare ma non mentire. Musa e getta non ha rivendicazioni da fare. Non sta lì neppure a sventolare la bandiera del femminismo. Non serve. Il segreto di queste sedici storie è che ti svelano quello che in fondo abbiamo sempre saputo: la faccia nascosta della luna è la più affascinante.

Ascoltare. È quello che spesso ci dimentichiamo di fare. Nadia Krupskaja è la moglie di Lenin. La storia del Novecento avrebbe avuto una sorte diversa se il compagno Stalin non l’avesse costretta a tacere. Nadia si è arresa e Ritanna Armeni racconta quello che non ha potuto dire. “Questo mi chiede, di tacere ancora. E di disobbedire per una volta all’uomo a cui ho sempre obbedito”.

Maria Callas, dice Angela Bubba e la sua voce ogni volta ti fa venire i brividi, ha ricevuto da Pier Paolo Pasolini un anello magico. È l’anello della consapevolezza, quello che può placare il dolore e la furia di Medea. È l’amore tra due angeli che non si possono toccare. “Quanto durano gli amori speciali? Molto più di tutti gli altri”.

Amanda Lear non è mai stata un manichino. Neppure quando Salvador Dalì si stanca di guardarla. Maria Grazia Calandrone la dipinge così: “Tutti mi credono solare. Ma sono piena di nuvole come la prima falce della luna crescente”.

Pamela des Barres è la Dorothy o l’Alice di Groupieland. Lo sapete perché Bob, Mick, Frank, Jim e tutti gli altri si sono sentiti immortali? Perché Pamela non ha tutti, anche per un secondo solo. Erano la mia libertà”.

Tutte, tutte, ti spiazzano e ti ribaltano la mappa che avevi davanti. Claudia Durastanti con gli occhi di Alene Lee ti mostra le pozzanghere nere sulla strada di Kerouac e Ilaria Gaspari ti dice perché Modigliani non è mai riuscito a dipingere gli occhi di Jeanne, Jeanne Hébuterne. Liza Ginzburg narra dell’ultima primavera di Lou Andreas-Salomé e di quando ti senti troppo stanca per continuare a viaggiare. Chiara Lalli racconta la storia di un furto. È la storia di un Nobel rubato. La vittima è Rosalind Franklin ed è stata la prima a vedere, intuire, illuminare, la doppia elica del Dna.

Anche Laure è stata derubata, della sua storia. È lei Olympia di Manet e rappresenta tutte le modelle che sono state dimenticate. E Anna Siccardi ti ricorda che non potrai mai davvero capire Picasso se non sai nulla di Dora Maar.

Di buona stella è bene averne solo una, o c’è il rischio che si mandino in buca l’una con l’altra, come palle da biliardo”. Cristina Marconi ti lascia sul tappeto una domanda: Scott era troppo per Zelda o Zelda troppo per Scott? Di certo c’è solo che in quell’amore c’erano troppi fuochi. Non sapremo mai invece con certezza perché Soren Kierkegaard è fuggito dall’amore, però Veronica Raimo ci dice cosa ne pensa Regine Olsen. “Una volta morta, sono venuti a cercarmi”. Laura Pugno si rannicchia accanto a Sabina Spielrein e le rivolge sottovoce una domanda: perché ti sei fidata di Jung?

Tea Ranno si sofferma sui nomignoli. Luisa Baccara lo chiamava Ariel, Gabri, Befano. Il poeta, lui, D’Annunzio, l’aveva battezzata Smikrà. L’amore certe volte è come i cani selvaggi che si aggirano per le colline. Non se ne è mai fatta un cruccio Kiki, la regina di Montparnasse, di cui Lorenza Pieri mette in scena un autoritratto della musa da morte. Chiara Tagliaferri lascia spazio al non detto di Kate Moss. “Diventerò vecchia in silenzio, morirò in silenzio senza sapere perché”. È qui che percepisci come la musica sia fatta di pause, come la vita.

Di ognuna di loro potresti innamorarti. Non è detto che sia una scelta saggia. Sarebbe comunque un peccato non avere la fortuna almeno una volta di incrociarle.

Ti raccontano qualcosa di quello che non hai mai avuto il coraggio di vivere. O forse no?

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