Si chiama Tao Lin, il suo ultimo romanzo si intitola Taipei (Isbn edizioni) e alcuni ne parlano come il nuovo Bret Easton Ellis. Non Bret Easton Ellis, che sentenzia: «Forse è il più bravo della sua generazione, ma è noiosissimo». Comunque il New York Times lo elogia per lo stile, e allora mi sono costretto a rifletterci, stai a vedere che l'ho letto male, questo stile.
Insomma, la storia è sempre la solita: Paul, il protagonista, e un gruppo di smandrappati trapiantati a Brooklyn, si trascinano da un party all'altro tra droga e sesso e discorsetti senza capo né coda, tipo la Mtv generation sostituita da un gruppo di cerebrolesi, e non che gli originali di vent'anni fa fossero Einstein. Ma il punto forte, si è detto, è lo stile. Tao Lin, bisogna ammettere, ti ipnotizza per la banalità delle metafore, per la lingua così elementare che neppure il gorilla Koko (il quale conosce un migliaio di vocabili, Tao Lin al massimo arriverà a cento). Senza esagerare, al confronto De Luca e Gramellini sembrano Arbasino e Gadda.
Frasi tipo: «Paul pensava in modo meditativo all'espressione essere da qualche parte», «Paul pensava di non aver nulla da dire tranne forse quello a cui stava pensando», «Paul si ricordò in modo confuso di una sera quando in un certo senso non si era aspettato che lei diventasse sempre più grande nel suo campo visivo», «Paul si udì domandare di nuovo se lei volesse cenare con lui» e così via per duecento pagine. Ve lo dico subito, andare avanti è dura, ma la perseveranza premia. Alla fine ti viene da pensare che sia tutto voluto, perché in letteratura, e nell'arte in generale, l'intenzione cambia tutto: se voglio dipingere un ritratto e piazzo un occhio sulla fronte sono un pittore mediocre, oppure ho un tumore al cervello, però se lo faccio apposta sono Picasso e fondo il cubismo. Se per descrivere una cena ci metto dieci pagine a misurare la distanza tra un bicchiere e l'altro e tra le gambe del tavolo e gli angoli della stanza sono un geometra fallito, se lo faccio intenzionalmente sono Alain Robbe-Grillet.
Oppure ti viene il dubbio che questo romanzo sia stato scritto da un robot, un nuovo software di scrittura automatica. Magari lo ha scritto Siri e sarà un nuova funzione dell'iPhone 6, nel tal caso sarebbe un risultato tecnologico prodigioso. Anche perché, tutto sommato, è comunque meglio dei libri che in Italia vincono il premio Strega.
Tuttavia, se arrivate al punto in cui Paul e la sua sposa Erin si recano a Taiwan per trovare le loro radici (mancava in effetti la tematica delle radici, come se gli uomini fossero delle piante, sebbene questi due facciano sembrare intelligente
perfino un campo di pomodori), capite che la soluzione ce l'avevate lì, sotto gli occhi, fin dall'inizio del libro. Cioè, proprio le radici: altro che nuovo Bret Easton Ellis, Tao Lin è semplicemente un cavolo di autore cinese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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