Cultura e Spettacoli

Nuovo polo culturale a Roma: inaugura la sede dell'università Iulm

Nel centro di Roma, al quarto piano del prestigioso Palazzo Cipolla, è stata inaugurata la sede romana dell'università Iulm. Un nuovo polo culturale, di cui abbiamo parlato con il rettore Gianni Canova

Nuovo polo culturale a Roma: inaugura la sede dell'università Iulm

È stata inaugurata nel salotto buono di Roma, al quarto piano di Palazzo Cipolla, la sede romana dell’Università Iulm. Un nuovo scrigno di cultura nel cuore della Capitale. Alla presenza di numerose autorità, come il rettore Gianni Canova, l’amministratore delegato di Istituto Luce Cinecittà Nicola Maccanico, e il presidente del consiglio di amministrazione della Iulm Giovanni Puglisi, si sono aperte le porte degli oltre mille metri quadrati che ospiteranno la sede romana della prestigiosa università. 150 posti, tre meeting room, utilizzabili anche come sala per i corsi, uno spazio polifunzionale/coworking, sei uffici, una sala break e anche una splendida terrazza che si affaccia sui tetti del centro storico. Un luogo che nei desideri del rettore, che abbiamo incontrato e intervistato, può diventare un punto di riferimento per la cultura della Capitale. Il primo attesissimo appuntamento è quello del 20 ottobre, per celebrare i 60 anni della morte di Luigi Einaudi.

Professore, l’apertura di un’università è sempre qualcosa di molto importante. Cosa rappresenta per lei, che della cultura ha fatto la sua battaglia personale?

“Credo che questo Paese tra le tante emergenze che stiamo attraversando, ne abbia anche una culturale da fronteggiare. Abbiamo il minor numero di laureati di tutta l'Unione Europea e siamo quelli che investono di meno nella formazione delle giovani generazioni. Spesso ci facciamo vanto dell'ignoranza, o della non conoscenza delle cose. Ogni piccolo mattone utilizzato per costruire più consapevolezza, più conoscenza, più sapere, credo vada a migliorare complessivamente la vita del Paese stesso. Sono il rettore di una piccola università non statale, e sottolineo “non statale”, perché in Italia il termine privato si colora subito di sfumature, che molti interpretano in maniera sbagliata. Noi siamo non pubblici, ma svolgiamo un servizio pubblico. Nel nostro statuto non c'è profitto. Se chiudiamo i bilanci in attivo, dobbiamo reinvestire tutto nel servizio assistenti, in nuove strutture e in nuovi corsi di studio. Di fatto, in Lombardia siamo l'ateneo che è cresciuto di più negli ultimi cinque anni, abbiamo sfiorato il 35%. Questa inaugurazione della sede di Roma, vuole segnare un cammino virtuoso nella costruzione di percorsi formativi, che hanno un unico obiettivo di fondo. Quello di formare giovani professionisti, che siano capaci di dare a questo Paese quella classe dirigente nuova, seria, visionaria e responsabile, di cui credo che l'Italia necessiti”.

Come sarà strutturata l’università?

“Non veniamo a Roma a fare dei corsi, perché ci sono eccellenti università che hanno già i loro percorsi formativi. Veniamo a fare attività culturale. Ci saranno soprattutto convegni, presentazioni di libri, dibattiti. Partiamo il 20 ottobre con una grande giornata dedicata alla figura di Luigi Einaudi. Un grande liberale in un Paese che al pensiero e alla cultura liberale, ha sempre dedicato troppo poco spazio. Un convegno in cui parteciperà tra l'altro, il direttore della Banca d'Italia. Proporremo eventi culturali di questo tipo, e alcuni master di quelli che abbiamo già collaudato su Milano e in Lombardia, provando ad adattarli alla situazione romana. Come quelli sulla comunicazione, sui social media vecchi e nuovi, sul cinema e la televisione, fino a tutto l'universo della rivoluzione digitale e all'intelligenza artificiale. Il nostro obiettivo è quello di offrire dei master in un'altra città, che negli anni ha dato frutti molto positivi, rispetto al tipo di formazione che abbiamo fornito ai nostri studenti in altre sedi".

Nel suo libro "Ignorantocrazia", racconta che la vera rivoluzione culturale è rimasta quella del cinema. Partirà anche da questo?

“Per quanto riguarda il cinema, io sono convinto, e lo sostengo nel libro, che sia stato la vera grande rivoluzione culturale del ‘900. Ha regalato a tutti, uomini e donne di qualsiasi Paese, momenti di gioia, di felicità, ed emozione, che hanno consentito a tutti di vivere meglio. Tutte le altre rivoluzioni hanno prodotto bagni di sangue. Il cinema non ha fatto mai male a nessuno, e ha regalato a tutti un’intensificazione della vita emotiva. Per questo è un patrimonio che dobbiamo assolutamente difendere, divulgare e amplificare. Ho notato che siamo molto indietro ad esempio nel marketing. Il modo in cui proponiamo i film, è ancora quello degli anni ’80, mentre il mondo è cambiato dal punto di vista della promozione e comunicazione di prodotti ai consumatori, che non sono più quelli di venti anni fa. Su questo qualche elemento di innovazione, andremo a proporlo”.

Parlava prima di social media, che tipo di cultura rappresentano?

“Spesso vengono demonizzati o usati acriticamente. È vero che esistono tutta una serie di criticità legate al loro uso, parlo del fenomeno detestabile dei leoni da tastiera, o a quanto a volte siano degli sfogatoi di odio e di rancore. Però questo non significa che deve essere necessariamente così. Ci sono molti altri modi per usare questi straordinari strumenti che la tecnologia mette a nostra disposizione, e che possono consentirci di incrementare quantitativamente e qualitativamente, la nostra comunicazione. Bisogna quindi costruire anche su questo un'educazione, una forma. Ricordo sempre che il nostro Paese è stato più volte sanzionato dall'Unione Europea, perché non ha mai inserito l'educazione media, nei propri curricula scolastici. Anche qui siamo l'unico Paese Europeo che non insegna ai giovani il linguaggio e le tecniche con cui comunicano i media vecchi e nuovi. Di questo è colpevole, perché vuol dire che a qualcuno fa comodo lasciare un popolo analfabeta. Perché un popolo di analfabeti, si governa meglio”.

Volevo legarmi proprio a questa sua frase. Perché in Italia non esiste una democrazia culturale, e chi ne sta traendo vantaggio?

“Non esiste perché, ripeto, secondo me fa comodo. Come diceva Pasolini: 'Siamo il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d’Europa'. Quando le persone si confrontano per luoghi comuni, per schemi, di appartenenza ideologica, per slogan facili, senza sentire il bisogno di informarsi, conoscere studiare, perché questo poi è il tema vero, lo studio; allora è molto più facile ottenere il consenso, rispetto ad un popolo informato e consapevole. Non esiste democrazia culturale, perché anche chi fa il mio mestiere, anche i professori e gli intellettuali, hanno assunto spesso atteggiamenti snobistici, elitari, aristocratici, disprezzando tutto ciò che è popolare, inseguendo soltanto forme di cultura un po' respingente. I professori hanno la responsabilità di non aver fatto capire ai giovani l'incanto della cultura. Il fatto che questa, magari all'inizio costa un po' di fatica, ma dopo ti dà piaceri e soddisfazioni impagabili, anche nella quotidianità. Ti fa vivere più consapevole, ti fa apprezzare di più la bellezza la profondità e il senso, che è uno dei grandi interrogativi della vita di tutti noi. Per questo la battaglia per la democrazia culturale, è prioritaria. Senza di questa, la democrazia politica è una pia illusione e una truffa, se non si dà a tutti l'accesso alla conoscenza. In Italia ormai nella popolazione adulta, c'è un terzo di analfabetismo. Questo significa che un italiano su tre, non è in grado di comprendere un testo scritto. Poi ci stupiamo della violenza. La gente che non comprende, non ce la fa".

Partendo proprio dalle scuole primarie, non crede che la cultura in Italia è vista come qualcosa di noioso? Spesso i ragazzi percepiscono i libri come un obbligo, non come un piacere.

"Un po' la colpa è anche del nostro mondo, che presenta la cultura in maniera spaventosa e pesante. D’altro canto, i nostri programmi scolastici sono ancora quelli fatti negli anni 30, ma il mondo è cambiato. Noi siamo ancora qui a fare in storia per quattro volte il Paleolitico, e non si arriva mai a raccontare degli ultimi cinquanta anni, che sono invece quelli che servirebbero di più ai ragazzi, per capire il mondo in cui viviamo. La geografia è diventata un optional. I giovani non hanno la più pallida idea della mappa geografica del mondo. Ma non è colpa loro”.

Cosa si aspetta per la nuova sede romana della sua università?

“Vogliamo fare un lavoro di testimonianza, avere una presenza culturale seria, rigorosa, e portare qui collaborazioni che abbiamo sperimentato a Milano. Un luogo libero dove le persone si confrontino, con rispetto e serietà, e con l'idea comune che la cultura aiuta tutti a vivere meglio. Vogliamo offrire prodotti formativi, che possano formare giovani professionisti di cui questo Paese, come dicevo, ha estremamente bisogno. Il nostro scopo è formare sguardi visionari che riescano a immaginare un futuro, che deve essere un po' diverso dal passato che abbiamo alle spalle. Ho un po' paura, che anche con il Covid abbiamo imparato poco. C’è gente che continua a dire: “Aspettiamo che tutto torni come prima”, ma forse già qualcosa dovremmo averlo imparato, e provare ad immaginare un mondo un pochino diverso, rispetto a quello da cui siamo usciti”.

Il primo appuntamento è il 20 ottobre per celebrare i 60 anni della morte di Luigi Einaudi. Cosa sogna di fare dopo questo?

“Stiamo valutando alcune ipotesi. A me piace molto mettere a confronto idee diverse, che abbiano il coraggio di confrontarsi nel rispetto. Trovo ormai insopportabile che il dibattito pubblico debba sempre sfociare nell'insulto, nella rissa e nell'aggressione verbale. Questo sarebbe già un esempio di grossa civiltà. Dopodiché mi piace anche l'idea di contaminare i saperi. Il cinema con la musica, il design con l'economia, la moda con il cibo, cioè il contagio della conoscenza”.

Pensa che il nostro Paese sia condannato a diventare una nazione di analfabeti e populisti?

“Penso di no, le giovani generazioni non sono così. Vedo i miei studenti all'università, che hanno un grande senso civico. Hanno tutti il Green Pass, oppure si tamponano. Rispettano quelli che la pensano in modo diverso da loro. Dovremo imparare da loro. Siamo noi adulti che spesso che abbiamo rancori ideologici, incrostazioni che ci rimangono attaccate. Non riusciamo ad uscire dal passato. Siamo ancora qui a combattere tra fascisti e comunisti, ma i ragazzi non sono così.

Hanno un senso della socialità da cui noi dovremo davvero imparare”.

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