Uno dei primi a sottolineare l’importanza delle parole che usiamo, fu Nanni Moretti nel film “Palombella Rossa”. La sua definizione, riportata anche nell'enciclopedia Treccani, ha assunto nel tempo un valore ancora più importante. È infatti proprio con le parole, sia scritte che dette, che l’uomo ha la grande capacità di comunicare, tramandare e spiegare le proprie emozioni. Altresì usandole in maniera sbagliata possono creare situazioni spiacevoli o svilire le nostre idee. Di questo e molto altro ancora parla Paolo Borzacchiello nel suo libro “Il codice segreto del linguaggio” (Roi Edizioni).
Scrittore, consulente e imprenditore, Borzacchiello è uno sei massimi esperti dell’intelligenza linguista applicata al business e dell’importanza che ha la parola sulle interazioni umane. Durante la nostra intervista la cosa importante che tiene a sottolineare è che il suo non è un libro motivazionale: “Io mi applico su quello che posso scientificamente verificare quindi evito il pensiero positivo ‘un tanto al chilo’, e baso le mie ricerche e i miei scritti su argomenti che hanno un concreto valore scientifico”. In questa nuova edizione, amplia il discorso anche sul periodo che stiamo vivendo, per spiegare come usando le parole giuste, la nostra vita possa cambiare in tutti i campi. "Le parole -sottolinea Borzacchiello portando numerose evidenze scientifiche- hanno il potere di trasformare la nostra percezione della realtà e quindi di modificare anche i nostri comportamenti. Farci raggiungere i più straordinari obiettivi o, al contrario, svilire le nostre idee e privarle del loro vero valore. Questa scienza applicata soprattutto al business è ora ancora più importante dopo un periodo come quello del lockdown, dove i cambiamenti nelle nostre vite hanno influito anche sulle nostre percezioni". Ed è proprio da questo punto che partiamo, per comprendere meglio cosa significhi usare le parole giuste e quali siano gli incredibili benefici che si possono trarre.
Lei è uno studioso del linguaggio, ce ne spiega l'importanza?
“È in assoluto la cosa più importante su cui dobbiamo lavorare e concentrarci. Questo perché lo usiamo tutti i giorni per parlare con le persone tramite messaggi, mail e post, ed è quindi la cosa che usiamo di più per le interazioni umane. Questo ha la capacità di cambiare letteralmente la percezione della realtà delle persone”.
Anche quello scritto?
“Per il cervello non c’è nessuna differenza. Questo è importante perché le parole determinano fisicamente la realtà. In base a quelle che si scelgono, il cervello reagisce in un modo o nell’altro e quindi la persona si sente poi in un modo o nell’altro. Le ripercussioni sono altissime, sia per il benessere personale che per le relazioni lavorative”.
Il suo libro è arrivato alla quinta ristampa e la una nuova edizione è stata aggiornata per le relazioni al tempo del Covid. Come la pandemia ha impattato anche sul nostro linguaggio?
“Ho voluto aggiornare in modo massiccio il libro aggiungendo nuovi capitoli, proprio perché il Covid ha modificato in modo enorme il nostro tradizionale modo di interagire con gli altri e di fare business. Per spiegarlo molto semplicemente il concetto è che la vita che stiamo facendo ci ha costretti a cambiare abitudini che hanno ripercussioni importanti ed inevitabili sul cervello umano. Quando invece delle riunioni si fanno le ‘call’, lo schermo da cui si parla con l’interlocutore si traduce per il cervello in una reazione chimica che porta meno empatia. La distanza fisica che abbiamo gli uni con gli altri in questo momento, pur con tutte le ragioni del mondo, è di fatto una costrizione che annulla l’empatia o la mette in forte pericolo. Il cervello percepisce l'empatia in base alla distanza: più tu sei lontano e meno sono empatico con te. Con il linguaggio però si può compensare tutto questo, perché il cervello non riesce a riconoscere la differenza tra linguaggio figurato e linguaggio letterale. Se io dico che: 'Ti starò vicino passo passo', oppure che potrai: 'Toccare con mano”, dall’altra parte tu percepisci questa vicinanza, e il cervello si accende come se toccassi realmente la tua mano. Questa cosa compensa gli effetti di quello che stiamo vivendo, per questo sostengo che oggi è veramente molto utile questa tecnica, sia per il business che a livello sociale e personale”.
Basandoci su quanto dice, quali sono stati secondo lei gli errori che sono stati fatti nella comunicazione durante la pandemia?
"In generale quello che è emerso è innanzitutto una difformità di capacità a livello di linguaggio. Ovvero quando un politico parla in un modo e un altro nell’altro, le persone che ascoltano si sentono confuse perché non c’è un utilizzo delle stesse frasi e degli stessi concetti”.
Questo riguarda anche le informazioni date dai virologi?
“Quelli sono diventati poco più che opinionisti. Tanti problemi anche in termini di adesione alle vaccinazioni, sono nati perché da un virologo che ha titolo per parlare, ci si aspetta un certo tipo di informazione. Un po’ la stessa cosa che dicevo prima per i politici, se si sentono opinioni discordanti la gente non capisce. Questa mancanza di coordinazione strategica ha fatto chiaramente un disastro planetario. Siamo in un Paese democratico dove ognuno ha il diritto di parlare, ma quando c’è un’emergenza mondiale come questa, un minimo di regole avrebbero potuto metterle”.
Questi errori si stanno reiterando secondo lei?
“Sono esattamente tali e quali. Guardando la televisione, in dieci programmi diversi, dieci virologi diranno con linguaggi differenti cose diverse. Anche i media hanno fatto grandi errori. Uscire con un titolo in prima pagina che dice “Otto morti per il vaccino” è un modo di descrivere le informazione che va a disincentivare le persone alla vaccinazione. Scrivere invece “Solo lo 0,0008% ha avuto problemi con i vaccini” è lo stesso numero, ma avrebbe prodotto un’adesione molto più alta”.
Tornando al suo libro, lei dice che le sole idee non bastano, bisogna anche saperle raccontare. Quali sono gli errori più comuni che si fanno?
“Direi quello di svilire le idee, di fatto impoverirle. Spesso usiamo frasi come: “Scusa se ti disturbo”, oppure: “Ti rubo solo cinque minuti” o ancora: “Ho una domanda sciocca”. Questo tipo di frasi vanificano quello che diciamo dopo, perché il cervello sente quelle parole e su quelle si basa. Ci presentiamo male, vittime magari di troppa modestia e questo rende lei nostre idee più povere, o meglio le fa passare come tali. Inoltre c’è anche una mancanza di vocaboli. Usiamo poche parole e queste di fatto sono i colori con cui noi dipingiamo il nostro quadro: se si hanno cinque colori si farà un certo tipo di dipinto, se ce ne sono cinquemila chiaramente il quadro diventa più bello”.
Ha parlato di modestia, ma anche l’aggressività è una modalità sbagliata?
“L’aggressività è un tratto dell’animo. Può esprimersi con parole molto brutte che sicuramente danneggiano il valore delle nostre idee. Se li esponi in modo battagliero rispetto al tuo interlocutore, freni subito la possibilità di comprenderti con lui e quello che dirai dopo non verrà neanche ascoltato”.
È questa l'intelligenza linguistica?
“Esatto. L’effetto che le parole hanno sul cervello umano e quindi la capacità di utilizzare quelle giuste per produrre l’effetto che si desidera, su se stessi e sugli altri”.
Quali sono le regole da seguire per far in modo che le nostre parole e le nostre idee siano efficaci?
“La prima e la più importante è conoscere il significato e l’effetto che hanno, e avere l’apertura mentale e l’intelligenza di capire che le intenzioni non contano. Molte persone sbagliano e continuano a farlo dicendo: 'Io non volevo dire, non intendevo questo, la gente dovrebbe capire'. Ci nascondiamo dietro le nostre buone intenzioni, quando la conoscenza degli effetti scientifici del linguaggio è la prima regola per essere efficaci. Un’altra è parlare adeguandoci al contesto in modo che gli altri comprendano: avere la capacità di saper comunicare con uno scienziato o con un bambino con varietà di linguaggio, è qualcosa di fondamentale”.
Un altro argomento molto utile è la gestione delle obiezioni, che è una situazione in cui ci troviamo spesso. Capita, ad esempio, che davanti ad un superiore evitiamo di obiettare, anche se non siamo d’accordo o se quello che dice per noi è sbagliato. Come si agisce in questi casi?
“La prima cosa è saperle gestire bene, iniziando a non chiamarle obiezioni. Altrimenti ci si pone subito in una condizione di fare battaglia e si mettono gli interlocutori sulla difensiva. È più opportuno pensarle in un altro modo: come domande, richieste di chiarimenti, considerazioni da fare. Così la trattativa funziona meglio e si evitano problemi. Un altro principio è considerare che le persone quando ci fanno le loro “obiezioni”, hanno comunque sempre ragione, perché il cervello ha la sua versione della realtà. Accettare questo fatto ci permette di avere più chance, perché sperare di convincere qualcuno con le nostre obiezioni è praticamente impossibile. Si deve far comprendere all'altro che non lo si sta contrastando e non si ha intenzione di convincerlo, ma che c’è solo la volontà di comprendere meglio”.
Vorrei tornare alla questione del Covid. La mancanza di lavoro piuttosto che di libertà, ha creato molte tensioni sociali. Come può il linguaggio intervenire in questo senso e a chi servirebbe di più?
“Secondo me dovrebbe essere una cosa che va di pari passo, nel senso che da un lato ci dovrebbe essere un’educazione linguistica da parte di chi detiene il potere. Una persona come Luigi di Maio che ci rappresenta e che commette degli errori linguistici, dà comunque un messaggio negativo al popolo. Così come Giuseppe Conte che abbiamo sentito durante il lockdown usare parole come ‘baratro’, ‘paura’, ‘tramare nell’ombra’. Come molti altri, andrebbero educati a parlare come si deve, per far stare meglio le persone e fare in modo che si comportino in modo responsabile. Se si parla male i cittadini tendono a non ascoltare, perché la comunicazione è poco chiara. Dall’altra parte dovremo anche educare i cittadini. Questa materia dovrebbe essere obbligatoria a scuola”.
Come mai invece non se ne comprende l’importanza?
“Non voglio fare il cospiratore, piuttosto lancio una provocazione: lo farebbero davvero? Perché quando si rendono le persone capaci di sapere realmente cosa vogliono, poi non possono più essere manipolate. Per questo credo che questa materia non si studierà mai a scuola”.
Chi, anche a livello mondiale, sa usare il linguaggio in modo corretto ed efficace?
“Steve Jobs è riuscito in questo intento, raccontando storie a volte senza neanche avere le competenze tecniche per farlo. Non era un tecnico e non capiva molto di quello che facevano i suo collaboratori, ma aveva una capacità narrativa straordinaria. Obama a prescindere dal gradimento, era un oratore spettacolare. A suo modo Donald Trump per farsi eleggere la prima volta, ha usato in maniera strategica il linguaggio. In Italia Salvini ha una comunicazione che sembra povera, ma che in realtà è frutto di un gran lavoro di ingegno, ed infatti produce un risultato ben specifico. Così come Giorgia Meloni. Parlando in generale, le destre hanno più capacità e coscienza di linguaggio, rispetto alle sinistre”.
Lei ha sempre preso le distanze dai motivatori e dai guru, perché?
“Il mondo dei motivatori è spesso farlocco. Ti motivano urlandoti nelle orecchie o ti invitano al pensiero positivo un tanto al chilo, due cose che non solo non funzionano, ma possono fare danni immensi. Il mio libro è tecnicamente un manuale che va bene per il manager e la persona comune e non contiene nessun tipo di riferimento alla crescita personale o alla motivazione. Serve come dicevo, all’uomo d’affari che vuole comunicare meglio con il suo team o al papà che legge il capitolo sulle metafore e i tre cervelli, le studia e comunica meglio con il figlio.
È proprio un libro su come usare le parole. Preferisco non parlare poi dei vari guru motivazionali, io mi applico su quello che scientificamente posso verificare e baso le mie ricerche e i miei scritti su argomenti che hanno un certo valore scientifico”.
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