Cultura e Spettacoli

Il partigiano Dossetti? Era un bravo camerata

Una lettera del 1937. Spunta un documento sui trascorsi fascisti di un'icona del catto-comunismo

Il partigiano Dossetti? Era un bravo camerata

«Ottimo elemento, disciplinato, attivo, di fede fascista, di intelligenza sveglia e forte. Ha dato indubbie prove di ottime qualità oratorie ed ha dato attività sia alla sezione culturale del Guf, che all'istituto fascista di cultura. È iscritto alla Fuci e all'azione cattolica. Frequenta il circolo cattolico di San Rocco». Questa descrizione fatta dal segretario del Fascio di Combattimento Sante Simonini non riguarda un indefesso camerata con il manganello facile. Ma un personaggio di primo piano della lotta di Liberazione prima e della Costituente poi: Giuseppe Dossetti. Il documento è stato pubblicato nel libro di Rossana Maseroli Bertolotti La guerra dentro la guerra, (edizioni «Lui», in vendita alla libreria Bizzocchi di Reggio) in cui racconta nuove storie inedite di vinti della guerra civile e morti di “serie B” ignorati dalla vulgata resistenziale. La lettera, pubblicata nel libro impreziosito da una prefazione di Franco Canova, ex sindaco comunista di Reggiolo, ha un grande valore storico perché mostra un Giuseppe Dossetti non solo iscritto al PNF, ma consapevole membro del Regime, di cui rappresentava una delle più promettenti menti tra gli universitari. È un documento inedito, che nasce per dire al «caro camerata Dossetti»: «Sei invitato a presentarti presso la casa del Fascio per conferire per comunicazioni che ti riguardano». Un invito esplicito al «fascista Dossetti», confidenziale, che a una prima lettura sembra stonare per quell'appellativo di camerata, che Dossetti ha sempre vantato di aver combattuto fino alla morte. Il partigiano Dossetti-Benigno fu, tra i vertici cattolici del Cln, il più convinto della necessità di lotta coi comunisti. Ma il suo passato fascista, cui aderì con convinzione e capacità oratorie, è sempre stato minimizzato dalla letteratura agiografica, mai enfatizzato in alcuni saggi come quello di Galavotti sul Mulino e sempre giustificato con il riconoscimento postumo di un Dossetti a cui «il fascismo era sempre stato sullo stomaco». Dalla lettera e dal suo impegno non si direbbe, visto che l'anno è il 1937. Proprio lui che divenne profeta del cattolicesimo di Sinistra formando generazioni di politici, dall'ex premier Romano Prodi all'attuale braccio destro di Renzi, Graziano Delrio. Dossetti, a differenza della schiera di italiani fascisti per necessità, aveva dunque i suoi scheletri nell'armadio. Alla vigilia della guerra era una delle migliori menti fasciste, convinto, che scrive testi che piacciono ai camerati e che vince concorsi universitari. Un corpo scelto, non come i tanti di quella vasta zona grigia, che con la tessera del fascio in mano per necessità, vennero prelevati dai partigiani comunisti, colpevoli di aver fatto parte della classe dirigente del Ventennio.

Proprio come Dossetti, che però fece in tempo a smarcarsi andando a combattere in Montagna solo a febbraio '45.

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