«La primavera araba è bollente E l’estate democratica lontana»

«La primavera araba è bollente E l’estate democratica lontana»

Lui si chiama Eugene Rogan ed è direttore del «Middle East Centre» dell’Università di Oxford. È uno dei massimi esperti del mondo arabo contemporaneo ed è appena stato tradotto in italiano quello che è forse il suo lavoro più corposo e importante: Gli arabi (Bompiani, pagg. 764, euro 26). Il saggio racconta l’evoluzione del Medioriente negli ultimi cinque secoli ma con un occhio di riguardo all’interpretazione dell’oggi, della difficile situazione che si è venuta a creare nella prima decade del nuovo millennio. Ecco perché oggi alle 11 sarà ospite all’università di Ca’ Foscari a Venezia per parlare di primavera araba, nel tentativo di fare un bilancio e di delineare le prospettive per il futuro. Il Giornale lo ha intervistato in anteprima.
Professor Rogan, il Nord Africa e il Medio Oriente sembrano essere soggetti a un’ondata rivoluzionaria senza precedenti. E inaspettata...
«La pressione nel mondo arabo stava salendo da svariati anni. C’era e c’è una profonda insoddisfazione. Quella che un intellettuale libanese, Samir Kassir, sintetizzava così: “Non è piacevole sentirsi arabi in questi tempi. Alcuni si sentono perseguitati altri si odiano...”. A questa insoddisfazione venata di impotenza si somma il fatto che la maggior parte dei governi della regione, democrazie o monarchie non importa, erano o sono autocratici, economicamente inefficienti e incapaci di promuovere il benessere della popolazione... Se a questo si aggiunge che i giovani sono circa il 50% della popolazione e sono più propensi a contestare, risulta chiaro che la miscela era destinata a deflagrare prima o poi...».
Meglio parlare di primavera araba o di “primavere arabe”?
«Se mi passa una battuta, siamo di fronte ad una “quattro stagioni” araba. Nel senso che i Paesi in cui si sta diffondendo la protesta sono molto diversi tra loro. Però è indubbio che ci sono tratti comuni. La Tunisia, nel contesto arabo, è sempre stata una nazione relativamente marginale ma quando le proteste popolari hanno fatto cadere Ben Ali tutti hanno iniziato a pensare: “Se può accadere là, può accadere anche qua”. Quando poi è accaduto in Egitto, nel mondo arabo si è diffusa l’idea che “accadrà dappertutto”. Quindi gli slogan sono uguali, il clima e le idee, aiutate dalla presenza di una lingua comune, anche. Gli esiti molto variabili».
Sotto certi regimi autoritari all’opposizione c’era di tutto. Dai filo occidentali agli islamisti conservatori intenzionati a tornare alla Shari’a. Ora chi la spunterà?
«Per ora il potere è chiaramente in mano ai partiti di stampo islamico. La questione chiave però è come evolveranno le nuove costituzioni... Proteggeranno i diritti o imporranno solo un ritorno alla Shari’a? Io credo che la base di queste costituzioni sarà islamica, ma comunque dovrà esserci una trattativa. Se i fratelli musulmani in Egitto non garantiranno i diritti dei partiti laici presto la tensione tornerà a salire. L’unica via d’uscita sono il largo consenso e la tutela dei diritti dei singoli, se no l’instabilità politica prenderà il sopravvento».
E i diritti delle donne?
«Bella domanda... In Tunisia il principale partito islamico ha metà dei candidati donne. E quindi ora il Parlamento è pieno di rappresentanti donne. In Egitto la rappresentanza femminile è bassissima, anche se nelle piazze durante la rivolta le donne hanno avuto un ruolo fondamentale. Ci sono retaggi patriarcali fortissimi... La battaglia, in generale, è ancora tutta da combattere».
L’Occidente come deve muoversi? Per ora ha preso posizioni diverse, caso per caso. Basti pensare alla Libia e alla Siria...
«Dobbiamo porci obiettivi modesti. La situazione cambia molto velocemente e in modo imprevisto. Dobbiamo anche scegliere tra i nostri valori e i nostri interessi immediati. A volte scegliere i valori - come privilegiare i diritti e la democrazia - significa scontentare degli alleati. Barack Obama ha subito pressioni pazzesche quando ha chiarito che non avrebbe aiutato Hosni Mubarak... Poi la questione siriana ci sta chiarendo che siamo costretti a trattare anche con Russia e Cina... Quindi obbiettivi piccoli e concreti».
Se da un lato c’è la tentazione democratica - ma la democrazia è un’idea tutta occidentale - dall’altro in queste Nazioni resta forte il mito dell’Ummna, l’unità islamica, e la tentazione revanscista...
«Altra questione complessa. Quando vado in questi Paesi e parlo di democratizzazione la cosa viene vissuta male. Scambiano il termine per “occidentalizzazione”, pensano a Bush e alla campagna per esportare la democrazia. Ma la gente in strada chiede diritti individuali e diritto di voto, usa spesso la parola dignità... Non la chiameranno democrazia ma di fatto potrebbe esserlo.

La Umma resta al centro dei piani di fanatici alla Osama Bin Laden ma di fatto è una cosa impossibile, inesistente, cancellata dalla storia... A crederci è una minoranza. La questione è questa: non far più governare le minoranze estremiste o autocratiche».

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