Controcultura

"Lo scrittore è lo scemo del villaggio che sente la voce di Dio"

"Tu credi che io dorma" è un romanzo fatto di storie legalte da segrete assonanze. Cosa hanno in comune un bambino smarrito, un editore raffinato, un serial killer, un professore e un carnefice sovietico?

"Lo scrittore è lo scemo del villaggio che sente la voce di Dio"

Tu credi che io dorma (La nave di Teseo), il nuovo romanzo di Luca Doninelli, tra le molte cose collaboratore di questo giornale, strega il lettore. Chiuso il volume, resta un sentimento a metà tra l'inquietudine e la speranza. Il libro è composto da racconti solo all'apparenza slegati. In realtà, pagina dopo pagina, si scoprono affinità misteriose: c'è sempre una donna dagli occhi verdi, e certe parole o frasi si rincorrono da una storia all'altra. Un bambino passa da uno scompartimento all'altro, ascoltando le conversazioni, e ha la strana impressione che tutti, anche gli sconosciuti, abbiano a che fare con lui. Un editore di Manhattan si lascia irretire da un dattiloscritto che lo conduce nella meno appariscente delle province italiane, a Cormano, nei pressi di Milano. Un professore di letteratura sembra far confusione (o luce?) tra la vita privata e la vita surrogata (o più completa?) che lo attende nel racconto di una sua studentessa. Due fratelli, nell'America rurale, sono legati da un destino atroce, il minore conosce una sola azione: l'omicidio. Nella Russia sovietica, uno zelante burocrate della morte si reca a far visita a un prete in carcere, e succede... qualcosa di totalmente imprevisto. Doninelli non tira le somme, perché non vuole, e quindi il suo libro lascia lo stesso rovello che ogni giorno ci spinge a capire il senso della vita, cercando di afferrare il significato di eventi misteriosamente connessi. Forse il legame è proprio il mistero. Ma è un mistero che ci interroga e non ci lascia tranquilli. Chiediamo spiegazioni all'autore, nel suo salotto, davanti a un caffè, in una calda mattina di autunno. Fuori, nelle strade di Milano, altri uomini si stanno interrogando sulle zone d'ombra della propria vita, le zone misteriose, che muovono in noi l'angoscia ma anche la speranza d'amore.


La struttura del suo romanzo è molto particolare. Da dove nasce l'idea?


«Ero andato a una mostra sulla Chiesa ortodossa durante lo stalinismo, e trovai la frase di Padre Afanasij che ho messo in esergo».


Cosa dice?


«Leggo: Tutto ha un senso, un significato e uno scopo. Non riesco a concepire la possibilità che su questa terra esistano persone inutili. E lo diceva da condannato a morte».


Troppo ottimista!


«Non sia cinico. Non esiste un uomo che non abbia servito qualcuno, almeno una volta nella vita. Anche l'uomo più spaventoso avrà fatto qualcosa di buono. E se un uomo non ha mai offerto un bicchiere d'acqua, qualcuno l'avrà offerto a lui. Un altro ha potuto fare del bene grazie a lui».


Torniamo alla struttura...


«La seconda idea è che non si può falsificare tutto. Alla fine c'è sempre un avvenimento esterno che ti costringe a mettere le cose in chiaro e le carte in tavola».


Qual è la sintesi?


«Dal disordine nasce l'ordine: ci sono trame nascoste, indizi, che conducono dal primo all'ultimo dei racconti, e in un certo senso ogni racconto include ed eredita il precedente, almeno dal punto di vista tematico. Alla fine (forse!) si inverano gli assunti di partenza: tutto ha uno scopo e non si può falsificare tutto».


Il gioco delle variazioni, nel libro, è evidente. Viene da pensare che noi abbiamo con gli altri legami misteriosi.


«Se vai in fondo a questi legami misteriosi, forse trovi il senso delle cose».


Restano misteriosi o è possibile «tirare le somme», come si chiede un personaggio?


«Non avevo intenzione di tirarle io. In un romanzo le somme si tirano da sole. È meglio non metterle troppo a tema, a meno che tu non sia Sofocle, allora puoi fare come vuoi».


Mi faccia un esempio di somme che si tirano da sole.


«Io penso sempre a Pinocchio e al dialogo straordinario tra Pinocchio e Lucignolo, quando devono partire per il paese dei balocchi. Collodi, semplifico, voleva scrivere una sorta di pubblicità della scuola e dell'alfabetizzazione, visto il periodo storico. Ma è un grande artista, e lascia che la cosa gli sfugga di mano. Quel dialogo, tra i più belli della letteratura italiana, smonta le intenzioni di Collodi stesso. Il Bene viene distrutto pezzo per pezzo. Il moralismo deve essere prima distrutto, devastato, affinché ciò che c'è di vero, in quel moralismo, possa affermarsi e diventare il cuore credibile del libro».


Ma da dove arrivano questi legami: li stabilisce il caso, il destino, chi o cosa?


«Non sappiamo da dove arrivino».


Non è spaventoso?


«Dipende da come li affrontiamo».


È per questo che cita l'Ecclesiaste: «Guai all'uomo solo»?


«Aveva ragione Socrate quando diceva che la conoscenza di se stessi è una opportunità che ci viene data nel momento in cui riconosciamo nell'altro lo stesso nostro mistero. Rimuginare in solitudine non conduce a nulla, al massimo porta al si faccia una domanda e si dia una risposta, per citare Marzullo. Non penso di poter esistere al di fuori dei legami, quelli positivi, che instauro con gli altri. Ci vuole progettualità nella vita ma l'imprevisto ci fa crescere. Prendiamo Conrad e la Linea d'ombra. Le navi sono fatte per affrontare la tempesta, ma l'equipaggio incappa nella bonaccia».


Anche la cultura funziona così?


«Senza dubbio. Faccio un esempio. Museo brutto: la Pietà Rondanini di Michelangelo a Milano, con un allestimento che la isola da tutto il resto. Museo bello: il Bargello di Firenze dove dialogano tra loro artisti straordinari. Giambologna, Della Robbia, Desiderio da Settignano... L'energia si moltiplica nel confronto».


Lo stile è quanto mai vario. Perché?


«L'idea era attraversare mondi letterari distanti. Dürrenmatt in apertura. La storia dell'editore può forse ricordare Paul Auster. Poi ci sono i grandi scrittori parigini e Cormac McCarthy, mentre la conclusione guarda a Bulgakov e Grossman».


Cormac McCarthy. Stavo per dire Flannery O' Connor...


«È un punto di riferimento. In Flannery O' Connor c'è l'idea che la salvezza sia qualcosa di carnale. Non mi interessa che la mia anima sia salva e non mi consola il fatto che mio padre possa essere in Paradiso. Quello che io voglio è abbracciare di nuovo mio padre. Gesù dice che in Paradiso si beve vino: qualcosa di concreto, dunque».


Un personaggio dice che la letteratura salva la vita. Davvero?


«Non so se la salvi. Certamente ha come tema la salvezza. È nel suo Dna. Come dice Claudio Magris, ma lo diceva anche Don Giussani, quando Leopardi afferma che la vita non ha senso, la esalta indirettamente. Questo non significa che la letteratura debba essere edificante, al contrario, né che il finale debba essere lieto».


Nel mondo globalizzato che posto hanno la letteratura e la cultura? Anzi. Che posto hanno il libero pensiero e la fede?


«Il libero pensiero e la fede ti collocano in fondo alla casta o categoria di appartenenza. Vuoi conservare la tua identità? Beh, c'è un prezzo salato, anche economico, da pagare. A meno che la tua originalità non sia monetizzabile, il che è il caso di molti ribelli per finta o dei molti difensori di cause già vinte, che mostrano il petto a un inesistente plotone d'esecuzione. Se non rientri in questi casi, avrai meno possibilità. Lo scrittore, in generale, tende a essere fuori dalle logiche più strette del vendere e comprare che dominano la società. Non ha un posto ben preciso, riconoscibile, funzionale. Corre il rischio di essere lo scemo del villaggio, come diceva Cézanne. Ma io penso che sia meglio essere lo scemo del villaggio che il buffone di corte. Non credo ci sia una terza via».


Cosa pensa quando legge che «Luca Doninelli è uno scrittore cattolico»?


«Scrittore cattolico vuol dire un po' meno di scrittore. Quando mettono un aggettivo, è per diminuire. Perfino grande scrittore è meno di scrittore e basta. Scrittore cattolico poi è molto meno. Nessuno si è mai sognato di specificare scrittore comunista, in quel caso si dice che è uno scrittore, senza aggettivi».


Tu credi che io dorma: mi spieghi il titolo.


«Nel libro è la frase che l'assassino seriale dice a suo fratello. Ma è la frase che Dio dice a me. Dio si manifesta nei modi più imprevedibili, con un serial killer o attraverso lo spuntare di un geranio. Sembra assente, ma un giorno capisci che non è vero. Dio ci dice: voi pensate che io dorma ma...

».

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