«Senza chimica mezzo pianeta condannato a morire di fame»

Roald Hoffman, premio Nobel nell’81, riflette sui vantaggi misconosciuti che i progressi tecnici ci hanno regalato

È certo che la chimica abbia rivoluzionato il mondo nel corso degli ultimi 150 anni (se proprio vogliamo stare stretti). Stilare un elenco convincente a sostegno di questa affermazione è un gioco da ragazzi: l’esempio più evidente è l’insieme di quasi tutti i prodotti farmaceutici presenti oggi sulla faccia della Terra, che sono stati realizzati dalla chimica in questo lasso di tempo. Dalla morfina (e tutti gli anestetici senza i quali moltissime operazioni chirurgiche non sarebbero semplicemente possibili) agli antibiotici, agli agenti antitumorali. Non ci pensiamo mai, ma grazie alla chimica la quantità di colori che una persona può utilizzare oggi in casa, al lavoro o per divertimento, è molto maggiore di quella possibile nel XIX secolo. Inoltre l’umanità per la prima volta ha oggi il controllo sulla propria fertilità, grazie agli anticoncezionali. Allo stesso tempo, sulla Terra ai giorni nostri vive il doppio delle persone che potrebbero viverci se non ci fossero i fertilizzanti chimici.
TUTTO HA UN PREZZO
Certo, tutto questo enorme contributo al miglioramento e al cambiamento delle nostre vite non è avvenuto senza un prezzo in termini di problemi ambientali ed ecologici. Il rapporto tra grandi benefici e il rischio di nuovi danni diretti e indiretti è una condizione ineludibile della tensione essenziale della chimica. Prima o poi, ovviamente, dovremo fare un bilancio di questa straordinaria rivoluzione. Proprio per questo abbiamo bisogno di comprendere i mille riflessi, le mille conseguenze delle trasformazioni indotte da questa scienza. E quando faremo questo bilancio ci renderemo conto di quanti successi la chimica potrà mettere sul piatto.
Pensiamo a esempio a una questione di primaria importanza nella società di oggi come la gestione dell’ambiente. I fertilizzanti agricoli di origine chimica mettono a disposizione dell’umanità cibo per 6 miliardi di persone (se non lo sapete, circa metà degli atomi d’azoto che compongono il vostro corpo sono transitati per i macchinari di una industria chimica). Se non esistessero, 3 miliardi di persone sulla Terra non avrebbero di che mangiare. Bene, i fertilizzanti azotati sono costituiti a partire dall’idrogeno atmosferico e sono quindi una forma di controllo dell’ambiente.
CORTONA NON SAREBBE LA STESSA
Ma se vogliamo un esempio più legato al tempo, immaginiamo una città medievale italiana come Cortona. Ho scelto questa perché sono stato a visitarla di recente. Nel Medioevo non si sentivano certo dei buoni odori, in una città come questa: rifiuti organici umani, cibo e altre sostanze di scarto che imputridivano, muri umidi... Oggi Cortona è bellissima e non puzza per niente. Grazie soprattutto al controllo chimico dei rifiuti e ai prodotti chimici per l’edilizia (e non solo a questo, ovviamente: il merito va anche alla gestione dello smaltimento dei rifiuti e al risanamento delle case).
Ma pensiamo anche al consumo più apparentemente immateriale che ci sia, come la musica. Il cd suona la musica che vogliamo, che ci piace. Bene, i compact disc sono un prodotto direttamente legato all’industria petrolchimica. Perché artificiale deve far rima con male? Insomma, torniamo sempre all’idea di chimica come trasformazione. Ovviamente, si comincia da qualcosa di naturale (ma del resto con che cosa potremmo mai cominciare?) per poi arrivare a qualcosa di artificiale, di creato apposta dall’uomo. In fondo, lo stesso processo che avviene per la musica, l’arte, la letteratura, tutte attività che non hanno nulla di «naturale», se non il fatto di essere prodotte dall’uomo.
Con ciò non voglio sminuire la complessità del rapporto e della reciproca tensione tra beneficio e danno. Penso che nel XIX secolo, quando molte nuove molecole realizzate dall’uomo hanno mostrato le loro affascinanti proprietà (le tinture di anilina, i medicinali), è stato naturale, ovvio, assumere che la scienza era in grado di risolvere tutti i problemi, di curare tutte le malattie dell’Umanità. Del resto, la scala di produzione a quel tempo non era in grado di perturbare i grandi cicli naturali del nostro pianeta \.
UNA TRASFORMAZIONE CONTINUA
Nell’attività di trasformazione della natura i danni e i benefici ci sono sempre stati, e sempre ci saranno: chiunque abbia subito un’operazione chirurgica sa bene quanto la morfina sia utile per sopportare il dolore e guarire prima, ma anche quanto sia pericolosa perché si tratta di una sostanza in grado di dare dipendenza. L’ozono al livello del mare uccide la piante e danneggia i nostri polmoni, è un inquinante dell’aria. Ma la stessa sostanza protegge noi e l’atmosfera dalla radiazione solare. Alla fine, siamo noi a dover fare i bilanci.
Del resto, in un modo profondo e fondamentale, la chimica riguarda il cambiamento. Gli individui desiderano cambiare e insieme fanno resistenza: le nostre società contemporanee fanno soprattutto resistenza. Non c’è da stupirsi allora dell’ambivalenza, del rapporto misto di speranza e di timore, verso una scienza il cui nucleo è il cambiamento. Per quanto ci spaventino, tutti noi siamo affascinati dai processi di cambiamento a base chimica: dal fuoco che brucia, al nuovo motivetto che ci fa ballare, al bambino che cresce. Forse per migliorare l’immagine pubblica di questa scienza noi chimici dovremmo puntare di più su queste forme di fascinazione. In un certo senso abbiamo un disperato bisogno di colpire il pubblico con la magia e l’alchimia.
NANOTECH SUPERSTAR
Ne avremo bisogno anche per quella che molti vedono come la strada del futuro, le nanotecnologie. Sì, è vero, nanoqui, nanolì... è una «buzzword» molto ricorrente. Il prefisso «nano-» sembra conferire alle cose una percezione speciale in termini di valore e di novità. Nella realtà delle cose, tutte le molecole sono nano-oggetti: pensiamo solo alle molecole dell’emoglobina che misurano più o meno 8 nanometri di diametro, o alle molecole dell’indaco, un colorante, addirittura inferiori al nanometro. La mia opinione spassionata è che non ci sia nulla di speciale nelle nanotecnologie: resta il fatto che gli investimenti finanziari dovrebbero puntare a creare dapprima una migliore chimica delle molecole, quindi una capacità di assemblaggio più esteso di molecole e infine la ricerca di nuove proprietà. \
UNA SCIENZA ESTETICA
Un’ultima riflessione sul lavoro del chimico e sulla sua capacità/volontà di riflessione non solo etica rispetto a ciò che realizza. In generale, chiunque abbia voglia di fare cose nuove, di costruire, non si sofferma sulla problematicità di tutto quanto sta facendo o farà. Lavora innestando un modulo di conoscenza su un altro. E poi li lascia arrangiarsi da soli e andare avanti, e non si lamenta perché non c’è una logica a priori.
Attenzione, però, questo non significa cecità estetica. I chimici fanno dei composti e delle molecole gli oggetti della propria contemplazione e questo li avvicina all’arte e agli artisti. Anche agli ingegneri. Primo Levi ha scritto pagine memorabili su questa caratteristica della chimica nel suo meraviglioso romanzo La chiave a stella (Einaudi, 1978).
Probabilmente, ammettere il tasso di creatività che interviene nella chimica - così come nella scienza e nell’arte - avrebbe magari portato i filosofi ad applicare alla scienza le teorie dell’estetica. Avrebbe sicuramente contribuito a rasserenarci in merito all’influenza palese dei fattori estetici - simmetria, ordine, una bella storia da raccontare - sull’accettazione delle teorie, che non dipende soltanto dalle loro capacità predittive. E chissà se non sarebbe cambiata anche l’estetica, intesa come ramo della filosofia.

Quella classica esclude dai criteri estetici l’utilità, che ha un ruolo così rilevante in chimica. L’acido solforico, per esempio, trova la sua bellezza nel fatto che l’anno scorso se ne siano prodotte e vendute 180 milioni di tonnellate. Ai posteri l’ardua sentenza.

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