Spartaco, il primo ribelle che diventò un vero mito

nostro inviato a Gorizia

È il prototipo del ribelle, di chi sceglie di sovvertire, ma «nobilmente», le regole del Mondo. Ecco perché in un festival, come l'edizione di èStoria di quest'anno, dedicato ai banditi non poteva mancare. Stiamo parlando di un personaggio tra i più noti dell'antichità: il nome con cui è passato alla storia è Spartaco, ma non è detto che si chiamasse davvero così. A raccontarlo, ieri a Gorizia sotto la «Tenda Erodoto», Nic Fields, storico militare formatosi all'Università di Newcastle che ha appena pubblicato in Italia Spartaco e la guerra servile 73-71 A.C. (Libera Editrice Goriziana), e Barry Strauss che insegna Storia antica alla Cornell University e in Italia ha pubblicato La guerra di Spartaco (Laterza 2009). Hanno tracciato il quadro di un guerriero che è diventato un mito sin dagli scritti di Plutarco e lo è rimasto sino ai telefilm della serie Spartacus, passando per gli spartachisti di Rosa Luxemburg. Alla fine i dati storici certi sull'uomo si riducono a una manciata.
Nacque probabilmente in Tracia attorno al 109 avanti Cristo, per povertà o per ambizione accettò di entrare nell'esercito romano, con cui combatté in Macedonia con il grado di milite ausiliario, probabilmente con un ruolo di comando. Di certo qualcosa andò storto. Fu giudicato disertore e condannato, secondo la legge militare romana, alla schiavitù. Il suo talento militare però non passò inosservato. Intorno al 75 a.C. fu destinato a fare il gladiatore, venne venduto a Lentulo Batiato, un «lanista», ossia il possessore di una scuola di gladiatori a Capua. Spartaco si fece così le ossa combattendo all'interno dell'anfiteatro campano. Nel 73 fuggì con altri settanta gladiatori rifugiandosi sulle pendici del Vesuvio. Non era la prima rivolta di schiavi su larga scala nei territori sottoposti al dominio o al protettorato dei romani. Ma questa assunse caratteristiche diverse.
Come spiega Fields al Giornale, «Spartaco era un gladiatore e i romani avevano il mito del gladiatore. Lui divenne qualcuno di cui avere paura, una sorta di “prodotto mediatico”. Già le fonti antiche ne danno una descrizione distorta. A esempio Plutarco ce lo racconta come un “quasi” greco. E lo usa per denigrare Crasso. Ne fa un eroe... Da lì in poi Spartaco è diventato un foglio bianco su cui tutti hanno potuto scrivere la propria versione. Vedi il prototipo dell'eroe proletario di Rosa Luxemburg». Gli fa eco Strauss: «Il vero Spartaco resterà sempre un enigma, nell'immaginario collettivo era davvero in stile Spartacus: Blood and Sands. Mi perdoni l'esempio: una via di mezzo fra Gigi Buffon e Beppe Grillo, e in effetti Grillo lo ha detto, di essere come Spartacus».
Ma la creatura mediatica finì per trasformarsi in una minaccia reale. Ancora Fields: «Spartaco aveva capacità militari e di leadership che gli avevano insegnato i romani stessi. E, a differenza di altre rivolte di schiavi come quelle avvenute in Sicilia (nel 135-132 a.C. e nel 104-103 a.C.), la sua azione si sviluppò a brevissima distanza da Roma. Scatenò un panico vero». Per di più in un momento in cui Roma era davvero impreparata. «I romani - prosegue Strauss - stavano combattendo moltissimo lungo i confini, avevano quasi 150mila uomini lontano dall'Italia. Per fronteggiarlo dovettero totalmente riorganizzarsi...». Alla fine però Spartaco è un mito proprio perché ha perso. «La sua - spiega Fields - non fu una sconfitta militare, semplicemente la sua armata si disgregò perché gli schiavi non avevano un'idea chiara di cosa fare, vagarono su e giù per l'Italia, alcuni probabilmente volevano tornare in Tracia, altri in Germania o in Gallia, ma molti erano schiavi di seconda e terza generazione... era impossibile fornire loro un progetto comune. Non ce la fece nemmeno Spartaco».
Quanto a cosa volesse fare il gladiatore trace è quasi impossibile saperlo.

«Non è detto nemmeno volesse la liberazione di tutti gli schiavi. Forse voleva soltanto tornare in Tracia con un esercito dopo essersi vendicato dei romani. Se così fosse saremmo lontani dal mito libertario. Ma, si sa, i miti sono difficili a morire...».

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