Cultura e Spettacoli

Tutti i segreti di Berlino dai salotti ai roghi nazisti

Padre di Stéphane, l'autore di "Indignatevi!", lo scrittore fu maestro nell'arte della flânerie. E la Germania hitleriana bruciò i suoi libri

Tutti i segreti di Berlino dai salotti ai roghi nazisti

Per una strana combinazione del destino, in questi giorni esce uno dei libri più briosi, più brillanti, più disperati della e sulla Berlino degli anni Venti: Berlino segreta, di Franz Hessel, per l'impeccabile cura di Eva Banchelli (Elliot, pagg. 150, euro 16,50). Hessel è tornato famoso anche perché suo figlio Stéphane, parigino d'elezione, ha pubblicato, ormai anziano, Indignatevi! un pamphlet che ha scosso le giovani generazioni. In realtà fu il padre, Franz, a indignare i ben pensanti tedeschi e francesi con lo stupefacente triangolo amoroso sperimentato con sua moglie, la pittrice berlinese Helen Grund. La storia, narrata dal «terzo», lo scrittore francese Henri-Pierre Roché, è stata trasposta sullo schermo da François Truffaut nel film Jules e Jim.
Insomma, un uomo non banale, Franz Hessel, ebreo trapiantato a Berlino, dopo un intenso soggiorno a Monaco a contatto con l'élite artistica che si era radunata intorno allo ieratico poeta simbolista Stefan George. Da Monaco passò a Parigi, dove conobbe Helen con la quale si sposò, quindi si separò per ritornare insieme nella Berlino del dopoguerra, dove lui, figlio di un banchiere e fratello di un autorevole storico, divenne un personaggio di spicco negli ambienti culturali e artistici della capitale che finalmente era diventata, pur nella tragedia politica ed economica successiva alla disfatta del 1918, il centro della vita intellettuale e artistica della Germania e forse dell'intera Europa.

Era, la sua, la Berlino dell'intellighenzia ebraico-tedesca, quella di Walter Benjamin, suo grande amico con il quale s'imbarcò nell'immensa impresa di tradurre Proust, ma anche di Joseph Roth, pure lui pendolare tra il caffè Mampe di Berlino e il parigino Café du Dôme, frequentato da Hessel. Vi erano tante Berlino: quella marxista dei quartieri proletari, raccontata da Christopher Isherwood in Addio a Berlino, ripubblicato da pochi giorni da Adelphi, quella dei teatri sperimentali di Bertolt Brecht e di Erwin Piscator, quella «repubblicana» di Gustav Stresemann e di Heinrich Mann, ma anche quella dei nazisti, che cominciavano a prendere piede nella piccola borghesia rancorosa e assurdamente antisemita.

La convivenza era difficile, aspra e straordinariamente vivace finché ci fu la libertà di comunicare o di passeggiare. Hessel fu colui che «importò» a Berlino la flânerie parigina, tentò di sostituire al Wandern, al marciare tra i boschi dei romantici, dei Wandervögel e ormai delle squadre delle SA, il più urbano e filosofico passeggiare quasi senza metà nella città, per la città, alla scoperta della metropoli e di se stessi. Una lapide posta sulla sua abitazione alla Lindauerstrasse ricorda che Hessel «spiegò come flâneur ai berlinesi la loro città». La Berlino di Hessel è quella delicata, fragile, disarmata, quella intellettuale e la più esposta, è quella segreta evocata, sottovoce, in questo tenue racconto del 1927. Hessel annotò provocatoriamente che «La patria è un segreto, non un urlo». Ancora nel 1929 pubblicò Passeggiare a Berlino. E poi tutto cambiò. Il grande laboratorio si oscurò; il segreto lasciò il campo alle urla, alla violenza, alla brutalità sempre più efferata. Il flâneur divenne sempre più insicuro, malinconico - di quella «malinconia di sinistra» percepita da Benjamin - come avverte il protagonista del romanzo in una delle sue passeggiate: «Che fare? Buttare via una vita ancora agli inizi? Si sentiva vecchio e senza patria».
La crisi nichilistica è così acuta da non offrire che l'immediatezza quotidiana, la flânerie appunto. E così evapora il romanzo: «Camminarono per un po' fianco a fianco e si separarono con semplici parole di commiato sul ponte della Potsdamerstrasse». Il mondo sembra fermo ancora per un attimo. In breve quella società venne travolta dalla storia, con la sua serietà e tragicità. A poca distanza dal ponte, di lì a qualche anno, all'altezza dell'Opera, proprio di fronte all'Università gli studenti nazisti inscenarono il 10 maggio 1933 - proprio 80 anni or sono, ed ecco la combinazione cui accennavamo all'inizio - la notturna e truce liturgia del rogo dei libri, di tutti quei libri che avevano reso grande la Germania, da Heine a Brecht, a Roth, a Freud, tutto il grande spirito della simbiosi ebraico-tedesca andava letteralmente in fumo. Come aveva profetizzato Heine: si comincia a bruciare i libri per passare a bruciare gli uomini.

La patria non era più un segreto, ma urlata violenza.

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