Ma le vecchie cartoline erano meglio dei "post"

"Saluti e baci" almeno significava qualcosa. Oggi si commenta ciò che non si è letto: siamo nell’era dell’autismo alfabetizzato

Ma le vecchie cartoline  erano meglio dei "post"

Negli anni Ottanta non si scriveva più, questo era il refrain, e la colpa era del telefono, anche se negli anni Dieci già Marcel Proust telefonava alla nonna e ha scritto comunque la Recherche, mica le pagine gialle. Ma le telefonate costavano e, tra urbane e interurbane, la bolletta era inversamente proporzionale all’utilità del telefonarsi: se chiamavi il tuo vicino di casa costava molto più che chiamare tua nonna da Milano a Napoli. Quindi ancora si risparmiava sulla bolletta, e ancora ci scappava qualche lunga lettera ai familiari lontani per metterci le parole rimaste fuori dal telefono, la tua voce. Tant’è che i libri di successo erano quelli che scrivevi perché non potevi telefonare a nessuno per risolvere disagi ordinari, e pubblicare qualcosa era il modo più semplice per andare a parlarne al Maurizio Costanzo Show, non per altro il decennio finisce con Volevo i pantaloni di Lara Cardella. Non c’erano ancora i reality né gli amici di Maria, e Costanzo voleva almeno un librino da mostrare, altrimenti non ti invitava, era uno vecchio stampo.
Gli anni Novanta si aprono all’insegna delle telefonate erotiche, romanzo simbolo Vox, di Nicholson Baker, che in Italia visti i costi della Sip sembrava fantascienza, per finire con le chat erotiche, che la solita sociologia antimoderna interpretò subito come segno di alienazione sentimentale, non sono mai contenti: prima si era alienati perché non ci si scriveva più, dopo si era alienati perché si scriveva troppo. Invece era il massimo: non c’era più bisogno di incontrarsi per scopare, mentre il minimo erano i romanzi di Francesca Mazzuccato.
Nel primo decennio del XXI secolo i più colti riflettevano sull’identità umana leggendo Deleuze-Guattari nelle edizioni Castelvecchi, e il concetto del «come farsi un corpo senza organi» e senza che nessuno capisse davvero cosa volesse dire. Ancora non c’erano gli sms né gli mms né gli smartphone e quindi ancora si mandavano le cartoline dai viaggi, benché non fossero il massimo della comunicazione, in genere saluti e baci e abbracci. Tra l’altro spesso la cartolina la si chiedeva al telefono: «Mi mandi una cartolina?», per paura di non riceverla. Era anche un modo di dimostrare a qualcuno la disaffezione più totale: nemmeno una cartolina. Oggi di sicuro Pasolini le avrebbe rimpiante e ci avrebbe scritto un editoriale sul Corriere della Sera dando la colpa al capitalismo, mentre io ne ricevo solo da Alberto Arbasino, che in genere riempie tutto lo spazio disponibile con una domanda retorica e ipnotica e si firma A.A. lasciandoti lì, stecchito, a pensare cosa devi pensare. Nel frattempo l’attitudine alla scrittura, uscita dalla finestra della cornetta telefonica, rientrata dalla porta degli sms, riuscita di nuovo dalla finestra della videochiamata di Skype, rientrava trionfalmente dai blog, tutti gli up to date avevano un blog finché non si accorsero che, passato l’entusiasmo iniziale, nessuno li leggeva.
Così nel secondo decennio del secondo millennio tutti scrivono, ma nessuno legge, è l’era dell’autismo alfabetizzato. Si commenta un post su Facebook prima ancora di capire cosa si sta commentando, e si formano lunghe liste di piccoli ego autoreferenziali che si aggrovigliano come tanti piccoli vermi attorcigliati gli uni agli altri. È anche la zattera di salvataggio di tutti gli aspiranti scrittori e poeti di provincia che, grazie a Facebook, hanno trovato un’identità e una faccia da incorniciare nel «diario». I veri vip, infatti, a scanso di equivoci, per non confondersi con gli sfigati, sono migrati su Twitter.
Ma Twitter sta scalzando Facebook anche perché ha tolto tutto il superfluo, quasi tutto: il suo successo è dovuto alla limitazione di avere massimo 140 caratteri, meno di un sms, ma a differenza di un sms visibile a chiunque ti segua. Dove, poiché 140 caratteri sono già troppi, ci si può comunque limitare a ritwittare quello che twittano gli altri.

Meraviglioso esempio di fallimento evolutivo, dall’Odissea al cinguettio, e basta vedere cosa si scrivono Beppe Severgnini e Gianni Riotta per capire che tra cento anni i miei amici scimpanzé potranno rivendicare di aver avuto ragione con cinque milioni di anni d’anticipo: non avranno avuto Shakespeare, ma senza bisogno di parlare possono pensare che, insomma, alla fine tanto rumore per nulla.

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