di Nicola Crocetti
I rasoi fanno male,
I fiumi sono freddi,
l'acido lascia tracce,
le droghe danno i crampi,
le pistole sono illegali,
i cappi cedono,
il gas ha un odore nauseabondo...
Tanto vale vivere.
(Traduzione di Silvio Raffo)
Visse tutta la vita con un singolare senso di colpa: quello di appartenere a una famiglia troppo ricca. Per farselo perdonare fece di tutto, incluso militare nel movimento per i diritti civili e nel partito comunista, oltre a diversi tentativi di suicidio. Dorothy Parker nasce Dorothy Rotschild (nel New Jersey, nel 1893), e la sua innata malinconia, dovuta alla morte della madre quando è ancora bambina («Non glielo perdonerò mai. Morire così, senza avvertirmi...») si acuisce con l'avvento in casa della matrigna. Autentica peste, Dottie si diverte a rovinare la vita a chiunque non le vada a genio, e tale si manterrà per tutta la vita, sviluppando negli anni, come scrive il suo traduttore Silvio Raffo, «una salace mordacità e una straordinaria capacità critico-caricaturale nei confronti del prossimo, che ha un degno predecessore soltanto in Oscar Wilde (di lei, comunque, assai più mite)». Lasciata la famiglia, a 22 anni lavora come giornalista, scrive su Vogue, Vanity Fair e il New Yorker, dove pubblica racconti spumeggianti e 300 poesie.
Articoli, racconti e poesie pieni di verve, acume e cinismo, spesso velenosi, che la rendono presto leggendaria e temuta dal bel mondo newyorkese e in quello di Hollywood, dove le sue sceneggiature ottengono due nominations agli Oscar. Vive nel lusso all'Hotel Algoquin, tra fiumi di champagne e pirotecnici pettegolezzi. La sua prima raccolta di versi, Enough Rope (Abbastanza corda, ovviamente per impiccarsi), nel 1926, vende quasi 50mila copie.
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