di Nicola Crocetti
Della fede che dal nulla sboccia
e del nulla che nella fede è spina,
salto illeso il magico debito
che paga in sangue la buona via.
E se più rimbalza, solo ci tocca
disselciare i bordi del destino,
la magica epidermide che s'irrita
sul corallo d'un arenile divino.
Nel sussurro di pini siderali
le nubi a ben composto inganno
del corpo, fiore del vecchio spazio.
Prima di non essere manda i suoi cristalli
alla città dall'albeggiare estraneo,
e continua lenta a filare le sue nubi.
(Traduzione di Nicola Licciardello)
«L'uomo deve vivere come gli animali, sentire come le piante, pensare come gli angeli». È una delle massime più famose di José Lezama Lima, patriarca delle lettere cubane e uno dei maggiori poeti e narratori latinoamericani del secolo scorso (Cuba, 1910-1976). Figlio di un colonnello dell'artiglieria, letterariamente è un autodidatta, ma la sua vasta erudizione spazia dai testi biblici ai classici greci alle religioni orientali alla critica d'arte. Ventenne, si oppone alla dittatura di Machado, poi sotto il regime di Batista ricopre incarichi istituzionali, e dopo la rivoluzione di Castro avrà sempre rapporti difficili col regime, che di lui non apprezza la cultura eccentrica, la fede cristiana e l'omosessualità. Fonda varie riviste, tra cui la mitica Orígenes. Vive a Cuba tutta la vita, interamente dedicata all'amore per i libri. Universalmente noto per lo straordinario romanzo barocco Paradiso ('66), da molti ritenuto un capolavoro letterario del '900, Lezama è soprattutto poeta. Però poeta oscuro, autore di versi selvatici, lunghi e contorti, spesso illeggibili, pieni di metafore ardite, come i bambini che prestano i riccioli alle onde, «poiché le onde sono artificiali come lo sbadiglio di Dio»; o «il daino danzante che pilucca il fuoco» e «il mulo che avanza come le acque spinte/ dagli occhi degli ammanettati».
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