CULTURA&TEMPO LIBERO

I l maresciallo Gyulai era un cavalleresco soldato che tuttavia – scrive Montanelli nella Storia d’Italia – «non possedeva la grinta e il mestiere del vecchio Radetzsky». Quel 29 aprile 1859 il Ticino lo varcò con le sue truppe perché Vienna premeva per mettere in ginocchio il Piemonte prima dell’arrivo dell’alleato francese. Ma l’ordine che diede ai suoi soldati fu di astenersi da rappresaglie, limitare al minimo le requisizioni e «non rovinare i gelsi così preziosi in quel periodo». «Quando alcuni contadini – continua Montanelli – vennero a riferirgli che lì a due passi c’era un bel colpo da fare sui buoi grassi del Conte di Cavour, proibì di toccarli». Con l’arrivo in Italia di Napoleone III la guerra prese la piega che sappiamo. Dopo gli scontri di Montebello (dove fu colpita la piccola vedetta lombarda che ispirò De Amicis) e Palestro, sabato 4 giugno ci fu la battaglia decisiva di Magenta, che apriva ai francopiemontesi la via di Milano. Il giorno dopo, domenica, ormai quasi liberata dagli austriaci, la città è un delirio di folla e di bandiere tricolori che spuntano da ogni finestra. Una è salita per sventolare festosa perfino accanto alla Madonnina. In mattinata i curiosi vanno verso il Castello convinti di trovarlo sguarnito, che tutti gli austriaci si siano defilati da Porta Romana, verso Lodi. Ma non è così, cioè non è ancora così. Tra loro c’è anche il notaio Manfredo Ginami de’ Licini, volontario delle Cinque giornate. Il poveretto, tradito dalla sua miopia, si avvicina troppo al portone e non si accorge di un’ultima sentinella che gli spara, uccidendolo. La fuga dal presidio avverrà subito dopo, e precipitosa al punto da lasciare anche la cassa militare piena di monete d’argento (che onesti cittadini consegneranno a chi di dovere). Alle due del pomeriggio la Congregazione Municipale annuncia l’annessione al Piemonte. Il giorno dopo, lunedì 6 giugno, Milano sembra una città bendata, tanto è piena di feriti. Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano in città passando per l’Arco della Pace. Lungo il tragitto una folla entusiasta li copre di fiori. A Magenta l’imperatore aveva impegnato solo una parte delle sue forze. La Lombardia per tutto giugno fu teatro di aspri combattimenti. Il 5 luglio Napoleone, «preoccupato dall’idea di prevenire ogni inutile effusione di sangue», propone a Francesco Giuseppe una tregua. L’armistizio di Villafranca per i patrioti milanesi che ormai pensavano a un Lombardo-Veneto libero, è un brutto colpo. Chi solo il mese prima aveva inneggiato a Napoleone ora lo vede come un traditore. Su qualche muro appaiono frasi ingiuriose.

Ma c’è anche chi ricorda le migliaia di soldati francesi caduti nelle campagne lombarde. E poi resta quel tricolore che sventola accanto alle guglie. No, il 1859 non sarà un ’48: Gyulai, o chi per lui, alla Scala non metterà più piede.

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