Cuore, con meno battiti si vive meglio

Un quarto di morti in meno ogni anno fra gli oltre 1 milione e 200mila pazienti italiani e una riduzione del 26% dei ricoveri ospedalieri. La lotta allo scompenso cardiaco acquista oggi una nuova, potentissima, arma: l'ivabradina. Si tratta di una molecola innovativa, frutto della ricerca italiana, che agisce in maniera specifica per ridurre i battiti del cuore e cambierà radicalmente la storia di questa malattia.
I risultati dello studio Shift (Systolic Heart Failure Treatment with If inhibitor Ivabradine Trial), sono stati presentati in sessione plenaria al Congresso Europeo di Cardiologia di Stoccolma. «I dati sono davvero eccezionali - afferma Roberto Ferrari, presidente della Società europea di cardiologia (Esc) - soprattutto perché chi era incluso nello studio già riceveva cure ottimali, come previsto dalle linee guida. Si tratta inoltre di una molecola antischemica immediatamente disponibile, utilizzata in pazienti con angina e per prevenire eventi coronarici. Agisce riducendo la frequenza cardiaca, un fattore di rischio poco conosciuto ma importante al pari di ipertensione, colesterolo alto, fumo e sovrappeso. Inoltre permette una migliore ossigenazione del cuore quando è sottoposto ad uno sforzo. A partire da questo Congresso, l'ivabradina diventerà una risorsa imprescindibile anche per lo scompenso». «Dopo 20 anni dall'avvento degli Ace-inibitori e 10 dai beta-bloccanti, abbiamo oggi un nuovo farmaco salvavita», conferma il professor Michel Komajda, coordinatore dello Shift.
Lo scompenso cardiaco è una patologia estremamente diffusa, impedisce al muscolo cardiaco di lavorare correttamente e quindi la circolazione del sangue è insufficiente. Fra le principali cause, l'infarto, ma anche un'ipertensione trascurata. Sempre più frequenti i malati in età lavorativa, nel 30% dei casi colpisce ultra 65enni. In Italia la spesa totale per lo scompenso assorbe l'1,4% della spesa sanitaria nazionale. Dal 2003 rappresenta la prima causa di ospedalizzazione nel nostro Paese (dopo il parto naturale), con 200 mila ricoveri all'anno, in costante aumento (per il 2010 ne sono stimati oltre 230 mila). «Ma purtroppo l'8% muore durante la prima degenza, il 15% a un semestre dalla dimissione e il 16% dopo 12 mesi - spiega Ferrari - con ivabradina possiamo invece salvare centinaia di migliaia di pazienti, farli vivere meglio e ottenere un significativo risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale.
Ecco perché questa ricerca ha un'importanza determinante, riconosciuta dall'intera comunità scientifica».

Lo Shift (Systolic Heart Failure Treatment with If inhibitor Ivabradine Trial), pubblicato oggi sulla rivista Lancet, è il più ampio studio al mondo mai condotto sullo scompenso, ha coinvolto 6.500 persone in 37 paesi, Italia compresa. Tutte soffrivano di questa patologia in grado moderato o severo e presentavano una frequenza cardiaca superiore a 70 battiti al minuto, considerata il valore soglia.

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