Cuticchio: sono l’ultimo cantore dei pupi

L’erede della famosa dinastia porta «Don Chisciotte» di cartapesta in giro per il mondo

Cuticchio: sono l’ultimo cantore dei pupi

Enrico Groppali

da Polizzi Generosa (Palermo)

L'ultimo della grande dinastia dei Cuticchio, il famoso Mimmo che, dalla Polonia al Marocco fino all'Egitto e alla Russia, porta in giro un'inedita versione del Don Giovanni agìta dai suoi meravigliosi pupi alti più di un metro e mezzo, oggi ha preparato, per il quattrocentesimo anniversario della pubblicazione di Don Chisciotte, uno spettacolo itinerante dove, oltre ai suoi eroi di filo e cartapesta si alterneranno attori in carne ed ossa per far conoscere al mondo la leggenda del Cavaliere dalla Triste Figura creato dalla fantasia di Cervantes. Lo spettacolo ha debuttato a Polizzi Generosa, in provincia di Palermo.
Come mai Polizzi come locus privilegiato di meditazione, di studio e di rappresentazione?
«Perché è un luogo magico. Non è un caso che, nell'anno 1000, i Templari edificarono qui la sede del loro Ordine e che, in città, esistano trentasette chiese di cui diciotto tuttora aperte al culto».
Ma cosa c'entra Don Chisciotte con tutto questo?
«Don Chisciotte è l'ultimo romantico, nel mio spettacolo si risveglia dopo un sonno durato quattrocento anni nell'epicentro del continente-Sicilia, il luogo dove il francescano Gandolfo approdò per compiere miracoli santificando il misterioso recesso dove i musulmani pregavano nella moschea e gli ebrei avevano eletto un quartiere a Città Santa».
Il mito della Murcia poteva rivivere solo in un luogo al di là del tempo?
«Solo qui, dove in novembre la brezza che giunge dal mare si sposa con la neve dei monti e ricopre l'abitato di una nebbia così fitta che si taglia col coltello, l'immaginario riprende i suoi diritti e Cervantes può confidarci il suo messaggio».
I Cuticchio sono una dinastia che, coi pupi, opera dalla fine dell' Ottocento. Ma come sono nati?
«I pupi, fatti di budelli secchi d'animali poi rinforzati da bacchette di ferro, sono tutt'altro che un fatto banalmente folcloristico perché nascono dal desiderio del popolo di rappresentare e risolvere i nodi della storia. Mio padre imparò tutto da Achille Greco, un maestro. Che non solo lo istruì nell'arte, ma gli fece toccare, documenti alla mano, cosa avevano significato i Pupi in Sicilia».
Cioè?
«Dalle lotte tra arabi e normanni fino al Risorgimento, le marionette sono testimoni dei conflitti, delle guerre di liberazione».
Ma lei come ha cominciato?
«Contravvenendo alla dignità del silenzio che era una tradizione di famiglia, ho detto ai miei sei fratelli che dovevamo farci sentire».
E come?
«Sono andato dai politici, sono entrato nelle aule universitarie, ho presentato i miei eroi frutto dell' ingegno di un fratello scultore ai festival, da Spoleto fino a Cardiff dove, grazie a John Francis Lane, ho fatto parte coi miei amici di cartapesta del nucleo dei Giovani Arrabbiati rappresentando la storia di Cagliostro su musiche dei Pink Floyd».


Se dovesse definire le innovazioni che ha portato in quest' arte, cosa direbbe?
«Che noi ci mostriamo in scena muovendo i pupi e variando le voci dal profondo come in un sogno e che nel sogno rientriamo sia che facciamo udire la storia di Manon Lescaut che quella di Gesualdo da Venosa. Perché i Pupi siamo sempre noi, gli uomini che s'interrogano sul mistero dell'infinito».

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