D’Alema spara ancora sul premier ma la Margherita non lo segue più

Il presidente Ds: «La visita è stata solo una spiacevole strumentalizzazione». Rutelli si smarca e Castagnetti ammette: «Discorso efficace»

Emanuela Fontana

da Roma

Prima ha detto di non voler far polemica, perché di questi tempi pensa solo al rapporto con gli elettori. Poi non ce l’ha fatta e da Massimo D’Alema è partita ancora una stoccata sull’intervento del premier Silvio Berlusconi al Congresso americano: «È stata una strumentalizzazione». Non è stato l’unico, il presidente Ds, a non riuscire a ignorare i 18 applausi tributati a Berlusconi da deputati e senatori Usa, ma tentando una lettura esclusivamente in chiave elettoralistica dell’evento. Il segretario Piero Fassino è stato per una volta più ironico di D’Alema: quello del premier «è stato solo uno spot elettorale per far credere agli italiani di essere un uomo importante». Diverso sarebbe stato, ha aggiunto Fassino, se si fosse recato in Usa «per discutere i grandi temi dell’agenda mondiale». La visita di Berlusconi è dunque «un’occasione mancata».
Frastornata dalle parole di Oliviero Diliberto sulle mani «macchiate di sangue» di Bush e Berlusconi, la coalizione di centrosinistra è però alle prese con un ulteriore problema: il rapporto con la Rosa nel pugno e dunque con i radicali. Il partito di Pannella non ha mai nascosto le sue simpatie americane, che emergono anche in questo contesto: «Piano piano - considerava ieri Paolo Cento, coordinatore dei Verdi - viene fuori la vera anima liberista e filoamericana della Rosa nel pugno: forse Capezzone ha sbagliato coalizione, perché la politica estera dell’Unione sarà alternativa a quella del centrodestra e di Silvio Berlusconi».
La stampa di sinistra ieri è stata inclemente sull’audizione americana, e in alcuni casi non sono stati neanche citati in titoli e sommari i 18 battimani. Per il manifesto è stato «l’American show di Berlusconi», l’Unità ha titolato: «Berlusconi, figuranti per riempire il congresso Usa», Liberazione, quotidiano di Rifondazione, non ha mostrato più sfumature: «Berlusconi superstar a Washington, il 9 aprile si vota pro o contro Bush».
Dai leader dell’Unione si tendeva ieri a minimizzare l’ospitata a Washington del premier, anche per non scivolare sull’olio gettato da Diliberto. Qualcuno ha fatto anche un passo indietro per riportare la coalizione su una strada meno anti-italiana e anti-americana: «Non amo le polemiche - ha premesso Francesco Rutelli - quando un presidente del Consiglio italiano parla in un Parlamento importante come il Congresso americano: credo che Berlusconi non avrà nessun vantaggio dalla trasferta americana, anche perché Bush è al minimo della sua popolarità e al massimo della sua impopolarità. Noi però siamo italiani e non dobbiamo trasferire la disapprovazione politica verso Berlusconi e la critica verso Bush sino a farle diventare antiamericanismo». D’Alema dunque non si è trattenuto, nonostante i buoni propositi: «Impostare le relazioni tra Italia e Stati Uniti in modo elettoralistico significa strumentalizzare un tema di grande importanza. Mi sembra una cosa spiacevole. Detto questo - ha poi aggiunto - non attribuisco a questa vicenda una particolare importanza».
Da più parti sono arrivate ancora ironie sul Berlusconi americano: «Visto che Silvio Berlusconi dice di essere il più fervente americano - afferma il capogruppo Ds in Commissione di vigilanza Rai, Giuseppe Giulietti - dichiari di accettare il protocollo americano per i faccia a faccia televisivi».
Ma nell’Unione non tutti sono distruttivi, ed emerge una linea non omogenea nei commenti, a prescindere dall’antiamericanismo di alcune frange. Il capogruppo della Margherita, Pierluigi Castagnetti, ha ammesso a Radio Radicale: «Non ho condiviso la politica estera del governo Berlusconi, ma questo non mi impedisce di dire che ieri il premier ha fatto un discorso di una certa efficacia al Congresso Usa».
Non bisogna comunque dimenticare, ha sottolineato invece Bobo Craxi, che l’intervento al Parlamento degli Stati Uniti è stato «un’occasione importante, un evento, un’opportunità e un onore concesso a pochi».

Nonostante i leader continuino a non voler dare troppo peso ai 23 minuti di audizione del premier, sembra che da due giorni non si parli d’altro. Se n’è accorto il filosofo di sinistra e sindaco di Venezia Massimo Cacciari: «Berlusconi è andato da Bush? Bene, bravo, cavoli suoi. Il marcamento stretto è tatticamente sbagliato».

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