D’Avanzo: «Dal mio teatro non me ne vado»

«Non posso morire, c’ho un appuntamento», recitava una celebre battuta di Totò. E il direttore del teatro San Babila Gennaro D’Avanzo, che del Principe vanta di essere un gran conoscitore (recita «’A Livella» a menadito e a memoria), si associa. Domani in tribunale ci sarà la prima udienza che porterà a una decisione sulla causa di sfratto ai suoi danni mossagli dal parroco monsignor Gandini che quel teatro da 500 posti lo rivuole tutto per sè. «E non si capisce per farne cosa» tuona D’Avanzo, che ad alzare le tende non ci pensa neanche. Pare una commedia di Guareschi in salsa meneghina ma don Gennaro a fare la parte del Diavolo contro l’Acquasanta non ci sta proprio. «Casomai è il contrario» dice il direttore che dopo nove anni di onorato cartellone («tra le migliori della città») questo colpo basso da monsignore non se l’aspettava. Dopo essersi appellato alla legge salvateatri («Hanno tutelato il Nuovo, e io chi sono?»), è deciso più che mai a far valere i suoi diritti. «Anzitutto contrattuali», visto che è pronto a dimostrare al giudice che in quelle carte troppe cose non quadrano. La pretesa da parte della Curia di far valere la cessazione del contratto d’azienda, giura, non è suffragata da alcun documento. «Ma quale azienda, e dove stanno i bilanci? Io come associazione culturale ho affittato nel 2002 un immobile ad uso teatro e dunque ho diritto a nove anni più nove dal momento che ho sempre regolarmente pagato la pigione». D’Avanzo, che in tutti questi anni ha dato l’anima per i suoi abbonati (durante le repliche è ovunque, dal botteghino al palcoscenico), si sente vittima di un raggiro ed è pronto a vender cara la pelle. «È stato così fin dall’inizio, cioè da quando sono subentrato ai precedenti affittuari che pagavano un affitto di 28mila euro l’anno, mentre a me il parroco ne ha chiesti 150mila». L’inflazione, signor D’Avanzo... «A chi? Senza contare i 51mila euro pretesi da me come buonentrata (ho la copia dell’assegno) che dovevo considerare una sorta di regalo alla Chiesa. Ho fatto anche questo». Ma, come spesso accade, sul bagnato poi si mette a piovere. «Sì perchè i vecchi affittuari ricevevano un finanziamento pubblico di 103mila euro l’anno, che a me è stato quasi dimezzato, cosicchè in tutti questi anni per non chiudere baracca ho dovuto fare i salti mortali. Senza contare...» Senza contare? «Che quando sono entrato io qua dentro c’erano soltanto le poltrone, altro che azienda. Mi è toccato comprare tutto, macchina scenica, attrezzature, tecnologia e ho dato lavoro a una dozzina di persone, soprattutto giovani studenti». Ma al di là delle rivendicazioni contrattuali, D’Avanzo non si capacita del modo con cui il parroco ha preteso di dargli il benservito. «Ha detto che il contratto non si rinnovava perchè faccio spettacoli scadenti. Ma dico io, all’articolo 22 del contratto c’è scritto che il programma annuale va sempre approvato dalla curia e che non deve contenere spettacoli che contraddicano la morale. Mi ci sono sempre attenuto e infatti monsignore l’ha sempre firmato.

Oltre a questo, il mio programma è sempre ricco di brillanti spettacoli di prosa con nomi del calibro di Franca Valeri, Paola Quattrini, Gianmarco Tognazzi e molti altri. Il pubblico? Mi ha sempre riempito la sala». Come direbbe Totò, è sempre la somma che fa il totale.

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