Una via d’uscita per Mubarak: cercasi erede

Le grandi proteste che hanno bloccato martedì l’Egitto hanno reso ancora più attuale la questione della successione al faraone Hosni Mubarak. Le manifestazioni che si sono tenute al Cairo e in altre città del Paese sono state le più importanti degli ultimi decenni. Sull’onda del dissenso tunisino, comuni cittadini e attivisti hanno chiesto la fine del regime. Ieri, le contestazioni sono andate avanti ma in maniera più contenuta. Nelle ore più drammatiche di martedì, quando le televisioni riportavano la morte di due manifestanti e un poliziotto, in molti si sono chiesti se la collera della popolazione stesse per obbligare il presidente 82enne, al potere dal 1981, a fare le valigie. Soltanto dieci giorni fa, contro ogni previsione, il leader tunisino Zine El Abidine Ben Ali è fuggito a causa della forza della piazza. Oggi a Tunisi si protesta ancora contro il nuovo governo di transizione. A guidarlo c’è Mohamed Ghannouci, uomo dell’entourage di Ben Ali. È difficile capire in queste ore dove porterà il dissenso egiziano e se acquisterà la forza di quello tunisino. La situazione al Cairo rende comunque più acuto il problema del dopo Mubarak e del chi potrebbe guidare una transizione in presenza di uno scenario alla tunisina. Mubarak non ha mai nominato un vice presidente o designato un «erede». E a pochi mesi dalle presidenziali del prossimo autunno, non sono stati resi noti i candidati del partito al potere. Sono almeno dieci anni che si parla della possibilità di una successione «monastica». Il rais avrebbe scelto come suo delfino il figlio Gamal, 47 anni. La sua «nuova guardia» è stata alla testa negli ultimi anni di una progressiva liberalizzazione dell'economia. Quello che succede in queste ore in Egitto rischia però di dare il colpo di grazia all’ipotesi Gamal. «Il regime potrebbe decidere di utilizzare l’uscita di scena del giovane Mubarak come concessione alla rabbia popolare», spiega Joshua Stacher, esperto di medio oriente e sistemi autoritari. Secondo lui, se le manifestazioni dovessero andare avanti creando un reale problema al governo, Mubarak, come Ben Ali, potrebbe essere allontanato. Ma il regime si salverebbe. «Più che a una persona, penso a un'istituzione che potrebbe prendere il potere. Quella che attualmente trae maggiore beneficio dalle relazioni con gli Stati Uniti e dagli aiuti economici americani è l'esercito». E proprio lunedì, scrive il quotidiano egiziano Al Masri Al Youm, il capo dello Stato maggiore, generale Sami Annan, personaggio molto apprezzato dagli americani, sarebbe partito per Washington. Vicino all'apparato di sicurezza e all'esercito c'è il capo dei servizi segreti. Omar Suleiman ha in mano i dossier più sensibili del regime ed è una figura amica di Washington. Meno chiacchierato è il nome di Ahmed Shafik, ministro dell'Aviazione civile, ex comandante dell'aviazione. Per alcuni sarebbe un personaggio capace di evitare lotte di potere interne al regime. Nonostante le manifestazioni, «il governo egiziano è stabile», ha detto martedì il segretario di Stato americano Hillary Clinton, tradendo l'ansia degli Stati Uniti. Per Washington, l’Egitto di Mubarak è un alleato fondamentale nella regione. «Il dipartimento di Stato sembrerebbe preferire una transizione all'interno del regime per favorire la continuità», spiega Stacher. Fuori da palazzo, infatti, si muove un’opposizione divisa, senza una strategia comune o un leader capace di dare forma politica alla contestazione.

Da un luogo imprecisato «all’estero» Mohammad Mustafa el Baradei, ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e fondatore dell’Organizzazione patriottica per il cambiamento, si sta preparando a tornare per cavalcare la rivolta.

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