«Dacci i soldi o uccidiamo tua figlia»

Legata a una sedia, per ore in balia di due rapinatori armati di pistola che, per costringerla a rivelare la combinazione della cassaforte, le dicevano di avere la figlia in ostaggio. Una minaccia che l’ha terrorizzata al punto che quando un vicino è accorso in suo aiuto, prima ancora di essere slegata ha voluto chiamasse la figlia per essere rassicurata che non le fosse successo nulla.
Sono circa le 9 di ieri al numero 4 di via Bisnati, un elegante complesso costruito dieci anni fa di fronte alla clinica ortopedica Galeazzi: quattro scale, ciascuna con otto piani più le mansarde. E proprio al nono piano della scala C, vive sola da una mezza dozzina d’anni Adele P, 61 anni. I figli ormai grandi, portano avanti l’attività commerciale della famiglia: in particolare la femmina è sposata e ha due figli di 8 e 2 anni. I banditi entrano nello spazio condominiale, sono vestiti con una tuta da operaio, cappellino calato sugli occhi, borsa a tracolla. Li vede un’inquilina mentre sta portando fuori il cane: «Non ci ho praticamente fatto caso, non saprei nemmeno dire quanti anni avessero» racconta.
I balordi salgono per otto piani, fanno l’ultima rampa a piedi, infilano guanti di lattice per non lasciare impronte e si mettono in attesa. Qualche minuto e poi la signora Adele, di cui conoscevano a menadito le abitudini, apre la porta di casa. Le puntano addosso una pistola, la spingono dentro, le legano braccia e mani a una sedia e comincia la tortura psicologica. «Abbiamo in mano tua figlia» le dicono. E per essere più credibili aggiungono il cognome del marito della donna e altri particolari. Le chiedono il codice della cassaforte, ma hanno fatto male i conti: proprio la paura per quanto può accadere alla figlia manda in confusione la vittima. Comincia a farfugliare numeri a caso. I rapinatori cercano inutilmente di trovare la combinazione poi, con i minuti che passano, decidono di lasciar perdere. Sono stati troppo convincenti nella parte. Decidono pertanto di ripiegare su quanto possono trovare in casa, rovesciano mobili e cassetti fino a trovare 1.500 euro e un cofanetto con alcuni gioielli.
Sono ormai le 11 quando lasciano la loro preda, non prima di averle passato due giri di nastro adesivo da pacchi attorno alla bocca. Quindi scendono le scale e attraversano l’atrio. Qui incontrano il signor Bruno, l’inquilino del piano di sotto: sa che devono passare i tecnici dell’ascensore per recuperare una tessere di caduta nel pozzo: «Siete voi gli operai?» chiede ingenuamente. «No, no, si sbaglia» rispondono tranquilli e in perfetto italiano privo di accento.
L’uomo sale all’ottavo piano e appena esce dell’ascensore incrocia l’addetto delle pulizie. Stava pulendo le scale quando ha sentito lamenti e invocazioni arrivare da casa della signora Adele. Insieme salgono al nono piano, aprono la porta, lasciata solo accostata, e trovano la donna legata alla sedia. Il signor Bruno le libera la bocca e la donna come un torrente racconta la disavventura e, prima ancora di essere sciolta, chiede della figlia.

L’inquilino, comprensibilmente, va anche lui in confusione, non riesce a comporre il numero sul cellulare quindi scende all’ottavo piano e da casa chiama il 113 e la ragazza. Che si precipita dalla mamma per rassicurala e poi se la porta via con sé: passerà la notte da lei.

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