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Dalle bombe anarchiche a regina delle indagini. Così la "scientifica" si è messa la divisa

Dalle bombe anarchiche a regina delle indagini. Così la  "scientifica" si è messa la divisa

C'è una storia di anarchici, poliziotti, dinamite ed impronte digitali. Una storia di idee, preconcetti giudiziari e metodo scientifico utilizzato nella speranza (a volte avveratasi a volte no) di sganciare la giustizia dalle delazioni e dalle piste investigative costruite nel migliore dei casi sull'intuito, nel peggiore sul nulla. Questa storia porta dritta sino a noi e a molte delle instabilità del presente. Per certi versi è una storia del terrorismo. Come spiega Steven Johnson in Dinamite (Neri Pozza, pagg. 378, euro 26), gli esperimenti del chimico Alfred Nobel, mischiare polvere di conchiglie alla nitroglicerina, fornirono ai rivoltosi, agli oppressi e ai semplici criminali un potere esplosivo a basso costo e concentratissimo mai visto nel corso delle vicende umane. Come spiega l'autore: "La dinamite assicurò a piccoli gruppi di esseri umani un controllo individuale di energia fino ad allora inimmaginabile; letteralmente diede loro forza". Tra il 1880 e il 1920 in Europa e negli Stati Uniti ci fu la fase di attentati politici più devastante della storia dell'Occidente. Molti legati alla complessa galassia dell'anarchismo che a colpi di bombe fece detonare, oltre a molti innocenti, anche ogni speranza di successo del suo ideale egalitario. Era nato un altro mondo dove tra repressione (motivata o gratuita) e rivolta (motivata o strumentale) il vantaggio era nettamente passato dalla parte della prima.

Contemporaneamente però la scienza, che aveva fornito il trinitrotoluene (Tnt) e i suoi fratelli esplosivi a rivoltosi e criminali, fornì alle forze di polizia metodi nuovi, meno visibili a tutti ma comunque in grado di influenzare il mondo sino ad oggi. Sotto la minaccia delle macchine infernali (i borsoni con detonatore che facevano esplodere treni e chiese) si sviluppò un nuovo tipo di polizia, quella scientifica. Scrive di nuovo Steven Johnson: "Nell'estate del 1915 il luogo degli Stati Uniti che meglio rappresentava il nuovo regime era l'Identification Bureau del New York Police Department, originariamente creato da un detective intellettualoide, Joseph Faurot... Le sue pareti erano coperte da schedari contenenti decine di migliaia di fotografie e impronte digitali, organizzate secondo complessi sistemi di classificazione. Nell'era predigitale, l'Identification Bureau era la cosa più vicina al progetto del governo statunitense per la "Total Information Awarness" (totale conoscenza delle informazioni), che tante controversie avrebbe suscitato nei mesi successivi all'11 settembre 2001. Il bureau newyorchese trasformava il crimine in qualcosa di risolvibile attraverso i dati. Copiando una piccola rivoluzione partita dall'Europa. Una rivoluzione nata anche in Italia, grazie a Salvatore Ottolenghi, un grande medico e ricercatore di cui si parla veramente poco.

Colma la lacuna la bella biografia scritta dal Generale dei Carabinieri Roberto Riccardi: Salvatore Ottolenghi. Inventore della polizia scientifica (Giuntina, pagg. 196, euro 18).

Ottolenghi, nato ad Asti nel 1861, si laureò in Medicina e chirurgia a soli 23 anni, nel 1884, presso l'Università di Torino. Inizialmente attratto dall'oculistica, venne convinto da Cesare Lombroso a dedicarsi alla psichiatria, diventando nel 1885 assistente del famoso inventore dell'antropologia criminale.

Ottolenghi prese il meglio del metodo scientifico lombrosiano liberandosi in fretta dei limiti della dottrina frenologica. Nel 1897 Ottolenghi fonda insieme al questore di Palermo, Giuseppe Alongi, la Rivista di polizia scientifica. Ha vita breve, sei numeri, ma lo aiuta a mettere a fuoco il nucleo delle sue idee. Punta a dividere in modo netto gli aspetti politici da quelli giudiziari. I processi penali, per lui, non possono viaggiare sullo stesso binario delle convenienze di chi governa. Stigmatizza le attività investigative basate sui confidenti, le definisce "la piaga più profonda". Lo ha segnato, essendo ebreo, anche la palese ingiustizia del processo Dreyfus, l'uso distorto delle prove che è stato fatto nei confronti dell'ufficiale francese che si rivelò poi del tutto innocente.

Il 4 giugno del 1902 decide di passare dalla teoria alla pratica. Con la sua barbetta, gli occhiali tondi sul volto magro bussa senza appuntamento alla porta di Francesco Leonardi, capo della Polizia. Vuole formare un nuovo tipo di poliziotto. Con suo grande stupore Leonardi lo convoca il giorno successivo. Il ministro dell'Interno Giovanni Giolitti vuole che si dia subito avvio al suo progetto. L'ottobre successivo inizia a formare 35 funzionari della Questura capitolina. La prima sede del corso? Regina Coeli. Il suo obiettivo è una preparazione pratica, quale luogo migliore di un carcere per studiare i delinquenti? I risultati in brevissimo tempo furono eccezionali. Nel 1903 il corso di polizia scientifica diventa obbligatorio per tutti gli allievi funzionari di Pubblica sicurezza. Il corso si baserà su: antropologia, psicologia applicata, investigazioni giudiziarie, segnalamento, fotografia giudiziaria. Viene parallelamente sviluppato un sistema di identificazione basato sulle impronte digitali. La più grande svolta prima dell'arrivo dei test sul Dna. Una branca che Ottolenghi affiderà al suo miglior allievo, Giovanni Gasti. La classificazione Gasti delle impronte e il sistema di archiviazione dei dati che ideerà con un metodo di incrocio delle schede pensato per smascherare false identità resisterà sino al 1998 quando verrà superato da un metodo digitalizzato. Quasi un secolo di onorato servizio.

L'idea di Ottolenghi prese piede e finì per dare un contributo fondamentale anche nel fermare o limitare l'ingerenza dell'opinione pubblica e del potere politico nelle indagini. La polizia scientifica contribuì a determinare chi fossero i colpevoli del delitto Matteotti nonostante le ingerenze del regime e fissò con chiarezza i paletti che rendevano completamente destituite di fondamento le accuse verso Girolimoni.

Poi sarebbero arrivate epoche in cui la ricerca a tutti i costi del dato scientifico avrebbe generato altri potenziali mostri giuridici.

Perché la scienza allinea fatti e non verità, guai a pensare il contrario. Ma questo non è colpa di Ottolenghi e dei suoi omologhi. Che di certo vedendo l'Ia incombere sulle indagini avrebbero visto subito il rischio di sistemi elettronici che ammassano opinioni e non fatti.

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